In questo momento impilati uno sopra l'altro in ordine cronologico ecco un'orgia di plastica. Una dozzina abbondante di DVD che cominciano con "Blood Simple" e terminano con "A Proposisto di Davis". Mi manca "Il Grande Lebowski": ma l'ho visto talmente tante volte che è come se lo avessi nella collezione. Paradossalmente sono un po' restio ad acquistare un qualcosa che si mi è incastrato in mente così bene e che considero già come qualcosa di mio al pari del mio braccio. Ora che mi sono avvicinato meglio noto anche che prima o poi dovrò anche andare a riprendermi, magari con una mazza d baseball, "Arizona Junior" e "Crocevia della Morte" che qualche mio amico bastardo si deve essere tenuto in prestito a tempo indeterminato. Passo l'indice sulle copertine di queste opere e scorrono nella mia mente decine di personaggi, spesso riuscite estremizzazioni geniali delle contraddizioni del quotidiano. Con sarcasmo tagliente i due registi sono riusciti in trent'anni a ridicolizzare il tragico spaziando tra generi distanti anni luce, (penso alle differenze tra "Non è un paese per Vecchi" e "Prima ti sposo poi di rovino"), e sono tra i pochi in grado di scrivere le loro sceneggiature originali e cambiare tipologia di film senza mai aver paura di sperimentare e mantenendo un livello qualitativo medio che ha pochi pari nel cinema contemporaneo.
Siamo ad Hollywood, dentro gli studi di Hollywood, per vivere un paio di folli giornate di lavoro del protagonista Eddie Mannix. Un pio e fervente cattolico manager tuttofare che si vede costretto a fare da babysitter ad un numero pressoché infinito di casi umani. Un'estremizzazione del passato che ben si cuce con quanto accade con il presente: l'eccentircità dei registi, i vizi delle star, il gossip studiato ad hoc, il dover rattoppare tutte le loro infantili manie ed eccessi, la loro stupidità che li rendi esposti a manipolazioni continue, nascondere le profonde incompetenze professionali per tenere a galla un sistema folle, dal giro d'affari senza fondo, che in fin dei conti nessuno sa come faccia a stare in piedi. Benvenuti ad Hollywood. Nel mondo si fanno prove di bombe all'idrogeno, ma è qui che si fanno i veri soldi. Mannix non ha orari ed una vita sociale, non riesce nemmeno a gustarsi un paio di sigarette senza sentire il bisogno di espiare i suoi ridicoli peccati con una confessione nel cuore della notte. Ma in fin dei conti ama alla follia questo lavoro, il creare storie dal nulla e dar loro una forma visiva, il dover affrontare imprevisti continui e riuscire ad avere una quadra a fine giornata è un appagamento totale, una droga alla quale non sa rinunciare. Che sia una dichiarazione d'amore che i Coen vogliono offrire al loro pazzo lavoro? Io credo di sì.
Si ride di gusto, con una sceneggiatura assai complicata che assume le fattezza di una paella con spezzoni di musical, apparentemente fuori contesto, e discussioni teologico/politico/materialiste che solo dei maestri potevano sostenere grazie a dialoghi arguti, veloci e spiazzanti. Si crea attesa con un primo tempo nel quale non si capisce dove vogliano andare a parere: tante porte aperte, una trama intricata che accenna a dei personaggi promettenti come schizzi frettolosi con tratti di matita e che li accantona a mio parere in modo troppo sbrigativo. Scarlett Johansson e Frances McDormand vengono sacrificate e relagate ad una sparuta manciata di minuti e secondi. Fotografia ai soliti sublimi livelli, capace di giocare con le luci per ricreare ed alternare atmosfere teatrali e delle vecchie pellicole e farci entrare in un set cinematografico post seconda guerra mondiale.
Un'opera particolare che solo in apparenza può sembrare facile. Al contrario sono convinto che sia uno dei loro lavori più complessi che lavora su tanti livelli e che mette talmente tanta carne al fuoco che meriterebbe di un paio di visioni per essere apprezzata in toto. Lunga vita cinematografica ai Coen. Chissà dove ci porterete la prossima volta, io vi seguirò ancora.
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