Johann Sebastian Bach (1685-1750) è universalmente ritenuto un genio, se non IL genio. Genio non è colui che svetta per la propria arte, colui il quale supera tutti i suoi diretti concorrenti, il genio è un individuo che va oltre, che trascende, autore di composizioni, qualunque sia il campo di azione, che non trovano eguali nella produzione di nessun altro. Bach, oramai diventato sinonimo di perfezione, era appunto IL genio. Genio musicale senza pari, Bach era però al tempo stesso un professionista della musica, un artigiano al servizio dell'arte. Dimentichiamoci lo stereotipo dell'individuo geniale, rinchiuso in sé stesso e dedito unicamente alla celebrazione della sua genialità. Johann Sebastian Bach era un musicista professionista che "vendeva" il suo talento ai più disparati richiedenti; le variazioni goldberg furono scritte per soddisfare le preci di un ricco marchese, diversi cicli di cantate furono composte per le liturgie nella cattedrale dove il maestro di Lipsia era organista, la stessa passione secondo san matteo, forse il vertice dell'arte sacra, aveva la stessa destinazione. Durante la sua permanenza a Koten (1717-1723), presso il margravio Ludwig di Brandeburgo, Bach in ossequio al suo ruolo di konzertmeister compone appunto i Concerti Brandeburghesi. Il modello per l'opera è la tradizione del concerto grosso, cosi come canonica è la divisione in 3 tempi di ognuno dei concerti; fa eccezione il primo, che presenta un quarto tempo in forma di minuetto. Allegro, adagio o andante e allegro conclusivo, questa la struttura formulare dei sei Brandenburgs, opere BWV 1046-1051. L'organico stesso è quanto di più tradizionale: basso continuo e clavicembalo a costituire la sezione armonica portante, archi e fiati a dividersi le parti soliste. Presentata cosi, l'opera si configura come musica d'intrattenimento, e ne più ne meno era proprio questo il suo scopo. Facile immaginarsi lo sfondo di una sfarzosa corte di epoca tardo barocca, la multi forme fauna nobiliare che la popolava e i banchetti, i balli e i ricevimenti che la animavano. Ma attenzione.
Proprio in questo contesto canonico il genio di Lipsia irrompe con tutta la prepotenza di un talento ineguagliabile. I Brandenburghische Konzerte non sono solo un eccellente esempio di musica settecentesca laica, quale ne avrebbe potuta scrivere un qualunque ottimo maestro di musica, sono oltre. Sono il ritratto più fulgido di un epoca passata, la testimonianza più vivida di un gusto musicale cortese poi sorpassato ma mai dimenticato. In questi sei concerti Bach eterna la sua invenzione del contrappunto, costruendo brani che, poggiando su una sezione armonica varia ma solida, si elevano fino a vette artistiche inesplorate. Pensiamo all'allegro del secondo concerto: strumento principe è la spesso trascurata tromba in fa, particolarmente ardua da suonare. Il suono corposo e argentino dello strumento spicca su un sipario di archi, ma senza mai reclamare un ruolo di primo piano assoluto; in un continuo scambio di ruoli vediamo i violini, che un attimo prima si limitavano a cesellare i virtuosismo trombettistici, assurgere a un ruolo di primo piano, ora con decise parti d'insieme, ora con sublimi e polifonici a solo.
Il secondo concerto è solo un exemplum dell'arte bachiana magnificata in quest'opera. Nessuno dei sei concerti si presenta come un unicum, perfetto ma statico, ma piuttosto come un continuo dialogo, un vivacissimo gioco cromatico tra le diverse sezione dell'orchestra. Mai abbiamo un solo strumento guida di un intero brano, ma sempre troviamo un incessante susseguirsi di tasselli musicali, mirabilmente sfumati l'uno nell'altro.
Il contrappunto è dunque il fil rouge che caratterizza tutti i brani dell'opera, la caratteristica più facilmente rintracciabile e, al tempo stesso, quel quid di sublime perfezione che armonizza e completa ogni singola parte dei diversi movimenti. Difficile, impossibile anzi, e quasi inutile, tentare un descrizione "track by track" dei Brandenburgs. Poche ed essenziali sono le linee guida dei sei concerti, infinite le variazioni sul tema, i preziosismi, le innovazioni. Si passa cosi dalla predominanza marziale dei fiati nel primo allegro, al rincorrersi scherzoso dei violini nell'allegro conclusivo del terzo concerto, ai ridondanti archi barocchi nel quinto.
Tentata cosi una sommaria descrizione di un qualcosa di indescrivibile, non mi resta che segnalare, in appendice, quali edizioni dei brandeburghesi mi sento di consigliare. La mia preferenza cade con piena convinzione sull'incisione ad opera del Concentus Musicus Wien, mirabilmente diretto da Nikolaus Harnoncourt, edizioni Teldec. Scelta preziosa sia per meriti artistici che prettamente filologici: questo complesso suona esclusivamente con strumenti dell'epoca, metà del settecento nel caso, e ciò dona all'esecuzione un fascino difficilmente rintracciabile altrove. La pienezza, la corposità, la morbidezza degli archi, la pulizia dei fiati, la maestosità dei bassi e la dolcezza metallica del clavicembalo vi restituiranno intatto il fascino cortese di un'opera ineguagliata e ineguagliabile, degna stella nel firmamento dei capolavori di Johann Sebastian Bach, Genio in saecula saeculorum.
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