Sono solo voci.

Sono voci che si intrecciano. Che si rincorrono. Che si incastrano. Che si incatenano. Che si sciolgono. Sono voci, non strumenti. Sono voci che t'avvolgono. Non è più musica questa, è assoluto che s'inerpica nei contrappunti, che s'inglìcina in te.

Sono solo fughe.

Fughe non solo musicali. Fughe da se stessi, dal mondo, dalla miseria. E' "il tremendo remare verso Dio", questo. E' l'esposizione di un tema semplice e forte. Un tema che regge come chiave di volta uno dei più grandi monumenti musicali di ogni tempo. Un tema in re minore. Proposto, riproposto, specchiato, raddrizzato, intrappolato in un contrappunto, fino a fruntamarne le regole in un silenzio dalle proporzioni inconcepibili. L'incompiuta "Fuga a Tre Soggetti".

Ascolto l'"Arte della Fuga" e mi sembra di attendere. Di attendere Dio.

"Io vivo due volte nell'apparire quotidiano e nell'essere vero del mio modo di sentire più profondo. Sembra che affinché io viva doppio, debba quasi sentirmi in dovere di morire prima. "

Ecco, ascolto il "Canon Alla Duodecima In Contrapuncto Alla Quinta". Il violino e il violoncello che si specchiano l'uno nell'altro, si accarezzano sornioni, facendosi le fusa come due vecchi gatti amoreggianti.

Ascolto galleggiando nelle note. E' bella questa edizione dell'"Arte della Fuga" a firma del Quartetto Bernini. E' pastosa, densa, scintillante a tratti. Capitata in mano per caso, passata da un amico che aveva adocchiato sulla copertina l'aereo fascino orientale di Yoko Ichihara, qui splendido secondo violino. "Perché... va beh... l'Arte della Fuga... però se c'è anche un po' di figa...". E va beh, la poesia innanzitutto.

"L'amore è ambizioso, il disamore s'accontenta. L'amore è una lotta, è la vita, e vuole sempre agire, mai fermarsi, l'amore è acqua di fonte, che nessuno mai imbriglia, neppure le dighe di chi non vuole udire, ma allora straripa la tristezza, e vortica il pensiero, e la morte a mulinello ti trascina fino in fondo, fra le spire"

Ecco, è lo splendido "Canon in Hypodiatesseron al rovescio e per augmentationem, perpetuus". E' la linea del violino che si insinua nell'anima a risalire la corrente, ad arginare la fuga delle idee, a dare ordine, musica che rema verso Dio in una malinconia salda, semprelucida e mai doma. O l'incertezza su cui poggia l'intero "Contrapunctus X, A 4, Alla Decima", l'unico dell'intera opera ad iniziare sospeso su un do diesis che affonda come un piede nelle sabbie mobili del cuore.

"Ci sono giochi d'ombra e di colori, di onde azzurreggianti e spuma semprebianca, sulla darsena. C'è la scia, e l'acqua si richiude, di sopra, sui ricordi. C'è sempre qui il suo corpo, e la sua luce, come sprazzo dentro il cielo, c'è il suo sguardo, la sua pelle, c'è d'intorno. C'è solo la mia ombra, non basta il mezzogiorno, per non sentirla più"

Ci sono le note puntate che si rincorrono, che si bramano ansiosamente l'un l'altra nel "Contrapuncto VI in Stylo Francese". Sono nella mente. Un contrappunto che quando si interrompe ti sembra che ti si chiuda sopra, in un mare di silenzio, per trascinarti dentro di lui.

""Olvido" è una splendida parola spagnola, che non vuol dire solo "dimenticanza". C'è un livore in questa parola, tanto è quasi anagrammando "livido", un'ecchimosi mentale, il disamore che ti scorda"

Ecco cos'è l'"Arte della Fuga", è un anagramma musicale. Ma è l'anagramma di Dio in musica, è una sindone senza volto né strumenti, un lino senza corpo, una fuga finale con tre temi che si incastrano nel nome BACH senza trovare una soluzione, perché la soluzione è solo Dio, e di fronte a Lui sta solo il silenzio.

L'"Arte della Fuga" resta incompiuta. Come la vita dell'uomo. E alla fine Bach appone un corale, di tanto tempo prima, "Vor deinen Thron trett ich hiemit" (Davanti al Tuo trono io mi presento).

Perché per Bach "la verità" non si anagramma - come si fa adesso - in "relativa".

[In mezzo a questa recensione c'è, un po' messo "a specchio", qualche mio pensiero "in fuga" di un po' di anni fa]

Carico i commenti...  con calma