Ultimamente ci si è messo perfino Sting a dare una rispolverata alle dorature preziose e un po' ossidate che il suono del liuto sembra sprigionare. O meglio, ci si è messo l'abile liutista Edin Karamazov, il cui apporto all'ambizioso progetto stinghiano di riproporre le canzoni secentesche di John Dowland è fondamentale, probabilmente più ancora di quello vocale dell'ex Police, che comunque per essere un profano si arrangia piuttosto bene. Ennesima dimostrazione di quanto il liuto si presti, forse come nessun altro strumento, a coprire con una misteriosa patina di colore antico le note che escono dalla sua cassa armonica a forma di mandorla, accuratamente decorata, quasi come se quelle raffinate figure che fanno di ogni liuto una piccola opera d'arte avessero il potere di abbellirne anche il suono, rendendolo perfettamente "ornamentale". Lo sa bene Angelo Branduardi, che ne fa ampio uso per dare quell'inconfondibile tocco medievale alle sue ballate, anche se in realtà si tratta di uno strumento tipicamente rinascimentale, quindi addirittura troppo "moderno" per gli scopi del nostro menestrello.

In compenso ai tempi di Johann Sebastian Bach il liuto, dopo aver convissuto con successo per circa due secoli con i più strambi antenati di chitarre e chitarroni, era ormai in piena decadenza e ben presto sarebbe stato soppiantato definitivamente da strumenti abbastanza assimilabili alla chitarra acustica attuale, che comunque solo nell'Ottocento avrebbe raggiunto la sua forma tipica. Aggiungiamo il fatto che Bach, pur avendo cognizione dei più svariati strumenti, come richiedeva il suo ruolo di maestro di cappella, era per natura quello che oggi si direbbe un "tastierista", che trovava nell'organo e nel clavicembalo, le tastiere dell'epoca, gli strumenti prediletti per suonare e per comporre.

Tutto ciò spiega la miseria quantitativa delle composizioni per liuto non solo rispetto al mastodontico edificio dell'intera opera bachiana, ma anche in paragone alle sole opere strumentali. Come se non bastasse, questo esiguo repertorio è in parte costituito da adattamenti di lavori concepiti per altri strumenti, come violino e violoncello. Ci sono in proposito alcuni aspetti non ancora chiariti, come per esempio la mancanza di vere e proprie "intavolature", ovvero indicazioni sulla diteggiatura tipiche della scrittura per liuto, anche nelle sparute opere affidate a questo antico strumento.

Lasciamo che su queste ipotesi si arrovellino gli addetti ai lavori, tanto più che a tagliare la testa al toro ci ha pensato la chitarra classica, il cui suono sarà senz'altro meno decorativo di quello del liuto, ma è indubbiamente più corposo e profondo, quindi più adatto alle esecuzioni concertistiche. Ormai, se si escludono opere che lo richiedano espressamente, sia nei concerti che nelle incisioni il liuto è quasi sempre sostituito dalla chitarra acustica. E se ciò vale per le opere più spiccatamente barocche, a maggior ragione vale per le Suites per liuto di Bach, architetture musicali solide e atemporali, che di barocco hanno solo l'aspetto puramente formale della successione di un preludio e di una serie danze veloci e lente, più o meno le stesse già viste nelle più note Suites orchestrali.

A partire dal grande Andrès Segovia il repertorio del Bach chitarristico si è arricchito anche di adattamenti di brani tratti dalle Suites per violino e per violoncello. In questo disco l'ottimo John Williams ci presenta le poche preziose opere che lo stesso Bach destinò, in origine o in seconda battuta, al liuto. Il suo tocco è nitido ed essenziale, il virtuosismo limitato allo stretto necessario, come nel vorticoso Preludio BWV 999; per fare un parallelo pianistico si tratta di uno stile "gouldiano", il che equivale a dire assolutamente consono alla rappresentazione della musica di Bach.

La Suite in mi minore BWV 996 si apre con un'introduzione ("Passaggio - Presto") concisa ma ben distinta in un sobrio e pacato preludio (Passaggio) e in una succssiva intensa fuga (Presto). Dopo le canoniche "Allemande" e "Courante", moderatamente mosse, l'autentica pausa di meditazione, di questa come di altre Suites, è la "Sarabande", sebbene il nome suggerisca ai più il contrario. Dolci arpeggi e note rarefatte ci cullano fino al denso minuto o poco più che dura la "Bourrèe", il cui tema è arcinoto anche ai non classicomani grazie ai Jethro Tull, che ne hanno fatto una solida base per fantasiose e azzeccate variazioni di stampo jazzistico, ribattezzando il brano con una erre in meno ("Bourèe"), ma in compenso senza storpiarlo né massacrarlo, il che non è poco. Chiude una brillante "Gigue", danza germanica, ma parente della popolare "jig" scozzese.

La Suite in la minore BWV 997 si presenta compressa in tre soli movimenti, per quanto articolati. "Preludio - Fuga" è costituito in gran parte da una fuga non troppo accelerata, un placido ma inesorabile accavallarsi di onde musicali appena increspate, il cui effetto sull'orecchio è assolutamente benefico. La lenta "Sarabande" si basa su un tema insolitamente malinconico, che poche variazioni riescono ad elevare al sublime; "Gigue - Double" sovrappone ad un ipnotico mulinello di note ("Gigue") una danza ancor più impetuosa ("Double") che suggella degnamente questa originalissima Suite.

Adattata dallo stesso Bach sulla base della Suite per violoncello n° 5 BWV 1011, la Suite in la minore BWV 995 è la più canonica, con il suo "Preludio - Presto", dove per "Presto" si intende un'agile e spigliata fuga, e le sue danze tipiche, ognuna al proprio posto di competenza. Tra queste spicca, sempre ammesso che si possa chiamare danza, la "Sarabande" centrale, ancora una volta il momento di massima espressività della Suite, un incantesimo di lievi rintocchi irregolarmente staccati, di straordinaria modernità, spezzato dalla perentoria entrata delle festose "Gavottes 1 & 2", seguite a loro volta da una sincopata "Gigue" finale.

Il Preludio in do minore BWV 999 e la Fuga in sol minore BWV 1000, per quanto fin dal primo ascolto sembrino legati indissolubilmente, costituiscono una specie di "coppia di fatto" (la CEI vorrà perdonarmi l'empia similitudine) messa insieme dal pur notoriamente devoto Johann Sebastian. Mentre la Fuga ha origine dal movimento analogo (Fuga) della Suite per violino BWV 1001, pare che il Preludio sia una specie di "tappo" costruito dall'autore per integrare questa fuga isolata. Se così è, mai rattoppo fu eseguito così alla perfezione: nel suo minuto e mezzo l'esposizione ciclica del tema, secondo uno schema analogo a quello del Preludio n° 1 dal "Clavicembalo ben temperato", riesce a incatenare l'ascoltatore, predisponendolo a ricevere beato la generosa cascata di note che seguirà nella sontuosa e complessa Fuga.

E così in un baleno se n'è andata più di un'ora, e non ho ascoltato altro che una semplicissima chitarra. Ma quando a circondarti è l'essenza stessa della musica, c'è per caso bisogno di effetti speciali ?

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