Solo Glenn Gould poteva superare Glenn Gould.
Da quando, nel lontano '56, furono pubblicate le sue rivoluzionarie interpretazioni delle Variazioni Goldberg, quei piccoli (cioé brevi) capolavori di Bach nacquero a nuova vita, e ricevettero una nuova attenzione a livello internazionale, quasi il mondo li stesse scoprendo in quel momento.
Nessuno prima ne aveva dato una lettura così nitida, lucida e sfrontata; Gould volava su quelle note con tale naturalezza da sembrarne egli stesso il compositore, tanto che molti parlarono ironicamente (ma non troppo) di Variazioni “Gould-berg”.
Dopo di lui, e non senza una certa dose di timore reverenziale, in molti tentarono l'impresa titanica di cimentarsi nel superamento di quello che si configurava come un doppio scoglio: da una parte, la difficoltà insita nel mero fatto di voler riprodurre quelle note sublimi e difficilissime dallo spartito; dall'altra, la difficoltà forse ancora più alta di riuscire a suonarle in un modo che non sfigurasse troppo rispetto alla torreggiante interpretazione di quel giovane genio esordiente.
Chi cercò di imitarlo, fallì miseramente. Chi volle creare nuove originalità nell'approccio a quella musica, spesso cadde nell'esagerazione o non raggiunse l'esplosiva brillantezza di Gould, che aveva il sapore della scoperta. Molti invece seppero darne degne interpretazioni, magari storicamente più impostate, come quella, ottima, di Kenneth Gilbert al clavicembalo, tuttavia non riuscirono a scalzare dal trono le immortali incisioni di Glenn per il pianoforte.
Nel 1981, esattamente un quarto di secolo dopo, l'inarrivabile interprete di Bach per qualche insondabile motivo decise di cimentarsi nuovamente con quelle amate Variazioni, e tornò nello studio di registrazione. Ebbene, il miracolo avvenne...
Totalmente diversa da quella del '56, la nuova versione è molto più lenta (51' contro 39'), riflessiva, concentrata, il suono è ancora più levigato, tutto è disteso, rilassato anche nei momenti più tempestosi. Accade un vero e proprio incontro di sapore epico tra uno dei più grandi capolavori di tutta la musica e il suo più grande interprete di sempre, che torna a trovare il suo più caro amico dopo quasi trent'anni; ed entrambi sono cambiati.
La furia dell'impeto giovanile è mitigata dalla serenità della saggezza, le esplosioni “implodono” e risuonano nella cassa armonica dell'anima, ed una affettuosa, giocosa gentilezza, talvolta commossa, accarezza le note e le ricopre con una lamina d'oro zecchino.
Voleva essere tutto cervello Gould, ma qui suona davvero col cuore, e si sente dalla dolcezza con la quale canta per sé, con voce chiaramente avvertibile, le note che suona e celebra.
Glenn Gould, dopo aver chiuso così magnificamente il cerchio, morì l'anno seguente. Chissà come le avrebbe suonate a settantacinque anni...
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