Numero 24 diretto da John Andreas Andersen, non si limita a essere un semplice tributo a Gunnar Sonsteby, l’eroe più decorato della storia norvegese, ma si trasforma in una riflessione intensa sui dilemmi morali, il coraggio e i sacrifici personali richiesti in tempo di guerra. E sopratutto di cosa un essere umano è disposto a sacrficare per la libertà.

La narrazione, come già visto in centinaia di altri film, si sviluppa su due livelli temporali: il primo segue la Resistenza norvegese durante la Seconda guerra mondiale, con al centro le azioni audaci e rischiose di Sonsteby, interpretato da Sjur Vatne Brean. Il secondo livello ci porta nell’aula magna di una scuola, dove un Sonsteby anziano (Erik Hivju) condivide la sua esperienza con giovani generazioni, sfidandole a riflettere su valori come libertà e democrazia. Ma questo continuo rimando è funzionale per confrontare due mentalità diverse: quella di chi ha vissuto il conflitto in prima linea e quella di chi, oggi, gode dei privilegi conquistati a caro prezzo, pagati con la vita, da altri.

Sonsteby non è presentato come un eroe senza macchia e senza paura. Viene ritratto con profondità psicologica, mostrando sia la sua disciplina e il suo ingegno, ma anche la fragilità emotiva delle sue scelte. Sonsteby rinuncia alla sua identità, trasformandosi nel misterioso Numero 24 e vive sotto copertura, cambiando continuamente nascondigli e adottando nuove identità per sfuggire alla Gestapo. Il nomade Sonsteby, con la sua lucidità spietata, lo rende una figura enigmatica e complessa. Fu un brillante sabotatore e pianificatore, con una determinazione granitica alla causa , ma ciò lo costrinse ad un isolamento emozionale, sacrificando non solo la sua vita personale, ma anche la sua umanità.

Il film non manca di affrontare la difficile transizione dalla guerra alla pace. Tornare alla vita normale dopo aver vissuto tanto orrore è un processo tutt’altro che lineare e Andersen riesce a portarlo sullo schermo con misurata sensibilità.

Le sequenze ambientate durante la guerra sono particolarmente potenti, caratterizzate da una fotografia glaciale e una alta tensione . Si utilizzano tonalità fredde e immagini crude per trasmettere l'essenza dei combattimenti e loro inevitabile butalità, oltre che le torture subite dai membri della Resistenza. Si rimarca il dolore della perdita, evidenziando la perdita della vita quale altissimo prezzo pagato da quei giovani.

Parallelamente, le conferenze tenute dall’anziano Sonsteby rappresentano un altro aspetto fondamentale del film. Sonsteby racconta le sue gesta, i giovani ascoltatori lo sfidano, mettendo in discussione le sue scelte e le conseguenze che le sue azioni hanno provocato. Questo confronto tra passato e presente apre un dibattito importante: quanto è giustificabile la violenza quando si lotta per la libertà? E quali cicatrici anche morali lascia questa lotta?

Il tentativo del regista di creare un collegamento tra Sonsteby anziano e i giovani del presente, soprattutto nella figura di una ragazza particolarmente critica, a tratti appare un po’ forzato. La conclusione, sebbene coerente con il tono generale del film, fatica a trovare un equilibrio tra la figura eroica di Sonsteby e l’invito al pubblico a trarre le proprie conclusioni sul significato della libertà e della resistenza.

Numero 24 rimane comunque un film ben costruito, multistrato,capace di toccare corde profonde nello spettatore.

La performance degli attori, in particolare quella di Sjur Vatne Brean, è convincente e intensa, la regia di Andersen riesce a bilanciare azione e introspezione, con una meditazione sul prezzo della conquista della libertà e delle molteplici sfumature umane per il suo raggiungimento.


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