Ciò che Cale aveva accennato in "Vintage Violence", viene radicalmente dimenticato in "Paris 1919".

La musica non è più la stessa: la viola che un tempo accompagnava chitarra e batteria viene risucchiata dall'intera orchestra, il sound si avvicina gradualmente a quello europeo e la chitarra elettrica finalmente (anche se solo occasionalmente) esplode.

"Paris 1919" è l'album più europeo che John Cale abbia mai registrato: le dolci ballate, gli arrangiamenti orchestrali, richiamano ad una musica di stampo tipicamente "Britannico", una musica estranea dalle influenze che l'American Sound ha esercitato nei lavori precedenti. Sin dall'inizio, con il trascinante riff di "Child's Christmas in Wales", il musicista ci riporta indietro nel tempo, nel suo amato Galles, mescolando questa atmosfera di allegria, con la nostalgia verso la propria terra. La vena malinconica si fa sempre più accesa nella commovente "Hanky Panky Nohow" (che pezzo!), e nella cupa "The Endless Plain Of Fortune".

"Andalucia" riprende chiaramente i toni malinconici del primo brano, mentre i sospiri di "Antartica Starts Here" e la melodia di "Half Past France" fanno da contorno al resto del disco. Grande importanza bisogna dare a "Macbeth" che è indubbiamente uno dei brani più aggressivi dell'intero repertorio "caleiano" (solo con il successivo "Sabotage" rincontreremo un suono così grezzo). Il culmine creativo dell'opera è la "title-track" stessa: l'incalzante accompagnamento dei violini e la raffinata melodia sono la giusta ricetta di un capolavoro assoluto. Solo "Graham Greene" non regge il confronto con le altre canzoni, risultando così una stuccosa cantilena.

Così concludo la mia recensione, evitando di elencare frasi fatte come "John Cale è un genio"… "la sua musica non morirà mai"… e così via, lasciando a voi qualsiasi ulteriore giudizio.

Carico i commenti...  con calma