Quando parliamo di Velvet Underground la nostra mente ci porta istintivamente a ricordare quella "faccia da schiaffi" (con rispetto parlando) di Lou Reed. A lui sicuramente dobbiamo molto per il contributo alla storica band new-yorkese (vedi "All Tomorrow's Parties" oppure "Femme Fatale"), ma Lou Reed non era l'unico genio fra i quattro beniamini di Andy Warhol.
John Cale era l'altra faccia dei Velvet Underground. Proveniva dal Galles, e si spostò negli USA all'età di tredici anni, già in grado di suonare piano e viola. Il suo contributo nella band è stato importantissimo, almeno fino al secondo album "White Light/ White Heat", che segna l'uscita del musicista dalla band e, non a caso, la fine del periodo più creativo dei Velvet. Ma adesso smettiamo di ripetere notizie che i critici musicali ripropongono continuamente! Concentriamoci solamente sulla figura introversa e geniale di questo storico personaggio.
"Vintage Violence" fu registrato insieme ai Grinder's Switch di Garland Jeffreys, prima che i componenti del gruppo intraprendessero carriere separate, e pubblicato nel 1970 dalla Columbia. Per molto tempo è stato considerato dalla critica un disco d'esordio di poca importanza, una compilation di brani insipidi dalle melodie banali e scontate. Ci sono voluti più di trent'anni per capire che "Vintage Violence" non era ciò che i critici avevano sempre considerato, ma era più di una raccolta di canzoni, era un vero e proprio album, un album che, pur nella sua semplicità, conteneva perle di grande profondità e spessore artistico.
Il primo brano è "Hello There", un brano (e non un semplice motivetto) piuttosto orecchiabile che ricorda lontanamente i vecchi Velvet. Stessa cosa vale per "Bring It On Up" e "Charlemagne". "Cleo", "Please" ed "Adelaide" sono semplici melodie che l'autore usa come contorno ai pezzi forti. Un ruolo di primo piano lo riveste la viola: "Gideon's Bible" e l'orchestrale "Big White Cloud" sono alcuni dei capolavori non solo di "Vintage Violence", ma dell'intera produzione di Cale solista. Ma il brano migliore (?) dell'album è "Amsterdam", del quale il commento musicale è affidato totalmente alla chitarra e alla voce di Cale, che vagamente ricorda Leonard Cohen. Nell'intero album, ma soprattutto nelle ultime tre composizioni citate, la vena melodica del musicista dà sfogo alla sua creatività, dando alla luce gioielli unici nel loro genere.
Per questo invito ogni appassionato di musica all'ascolto di questo disco, sperando che possiate condividere con me le emozioni che la musica di Cale è in grado di trasmettere.
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