'Shortbus' (2006) del regista J.C.Mitchell, lanciato con abilità invidiabile con un rapido tam tam nella rete e attraverso un sito vietatissimo, veramente stuzzicante è una sorta di film soft-porno nobilitato dalle intenzioni quasi “socio/politiche” della trama un po’ altmaniana, che ci parla di coppie gay in crisi, coppie etero in crisi, femministe carbonare in crisi in perenne lotta col maschio sciovinista, donne in crisi che non provano orgasmi, giovani gay in crisi che coniugano joga e pompini e via di questo passo.

Insomma, un film di persone fondamentalmente sole alla disperata ricerca di un qualsiasi surrogato di piacere, anche fugace e volitivo, in una New York-giocattolo (quella del post 11 settembre) finta e fragile che non sa ascoltare la voce di questa sua gente (stupende le scene della New York ricostruita in plastilina, appunto).
Persone che come unico comune denominatore, hanno questo locale chiamato “Shortbus” (come i mezzi che portano i bambini a scuola) che è una specie di betola malfamata, frequentata da checche, dragqueen, feticisti, sadomaso, lesbiche e ogni sorta di fauna umana e sub-umana.
Una specie di Factory warholiana dove arte, sesso, reading, politica e disimpegno regnano ovunque senza regola alcuna, tra scene che possono dare un senso di strano turbamento (specie all’inizio) e scene orgiastiche tra uomini che sfociano del ridicolo (la scena delll’Inno Americano cantato tra le chiappe mentre un altro finge di cantare reggendo il pisello a mo’ di microfono è esilarante al massimo!).

Qui allo Shortbus finalmente i personaggi scoprono un surrogato d’amore che magari dura solo il tempo di una trombata o di un abbraccio tra un giovane e un anziano frequentatore del locale (una scena piena di struggente poesia) ma che in fondo è un modo come un altro per sentirsi accettati dal mondo.
Qui i buoni, là fuori i cattivi (per dirla in maniera povera).

Il giovane regista ci offre un film per certi versi stimolante e con dei contenuti per niente facili, dove il sesso è l’ultimo dei tabù (qui di sesso ce n’è parecchio ma, ripeto, superati i primi 10 minuti iniziali, la cosa diventa quasi un appendice secondaria alla storia). Un film a tratti osceno ma che l’autore riesce a dipanare sempre sul filo dell’ironia tra commedia, sarcasmo, battute al vetriolo e attimi di pura poesia disseminata qua e là.

Ma il film non è tutto rose e fiori e ha delle pecche imperdonabili:
1. un esasperata voglia di catechizzare lo spettatore a “tifare” per questo mondo fondamentalmente deviato e malsano (checche se ne dica).
2. Insistere su elementi di sesso spicciolo non strettamente necessari al racconto in un auto-compiacimento a tratti irritante.
3. Creare degli schemetti elementari da caricatura di certe situazioni spinte all’eccesso (la donna anorgasmica che finge col marito… roba da Settimana Enigmistica o da Proto-Vanzina)
4. La voglia di “giustificare ogni scelta “basta che ci sia Amore”: uomini, donne, trans, lesbiche e via discorrendo in un tentativo puerile di far passare per normale quello che, a mio parere (di maschio-etero al 90%) normale non è.
5. Buchi notevoli di sceneggiature con tratti ridondanti e noiosi

Ma un applauso invece va dato al regista per il coraggio di aver trattato questi temi non cadendo nell’auto compiacimento eccessivo, tanto da farsi selezionare la pellicola al Festival di Cannes del 2006 e trovare una pur minima distribuzione in Italia.

Come filmetto in sé mi ha pure divertito (simpatica anche la scena finale, citazione del finale di “8 e mezzo” di Fellini), ma non oso immaginare una società di domani fatta con queste caratteristiche, dove le devianze diventano la normalità, gli eccessi, la norma e dove sentirsi coppia “normale” venga vissuto quasi come un senso di colpa. In barba ai figli che, sempre a parer mio, sarebbero i primi a rimetterci in questo Caos Generalizzato Da Copulazione Selvaggia & Indiscriminata.
Finchè si scherza e si gioca, tutto bene (io poi, sono il primo… figuriamoci!). Ma quando si tratta di fare pubblichi elogi o farsi portabandiera di ogni forma di eccesso “in nome di un presunto amore, o sentimento che sia” qui mi fermo e prendo le dovute distanze.

La voglia d'amore o affetto non deve giustificare o passare sopra tutto e tutti.

(E qui partirebbe un discorso sui DICO che, formulati come sono adesso, non mi trovano completamente d’accordo. Ma questa è la recensione di un altro film che chissà se vedrò mai...)

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