Diavoli e Amici - Amici Diavoli e i Demoni del Blues.

E da quel momento eravamo in quattro, si era aggiunto John

Io, Jimmy, Luca e John appunto.

Luca è uno dei due miei fratelli di sangue, quello che ogni tanto mi chiedo dove cazzo sarà e come sarà messo, uno da film, che ha la faccia giusta e una vita da raccontare. Quasi sdentato ormai da decenni, ha fatto uso di ogni droga possibile, alcol sempre come compagno di viaggio, il suo sorriso beffardo, la faccia furba (molto furba), secco e tirato come l’Iguana (ma dove cazzo mettono tutto quell’alcol?!).

Ha lavorato pochissimo e vissuto spesso senza fissa dimora. Scelta di vita, nessun vittimismo come fanno tanti inutili sfigati, e soprattutto tanta, ma tanta dignità. Tra noi, quando uscivamo insieme, da sempre c’era un patto: poteva solo fumare e bere, niente altre droghe di merda - eventuale fumo cazzi suoi, a tutto il resto pensavo io, ovvio.

Ci divertivamo un sacco, anche se lo facevamo raramente; io ci mettevo tre giorni a riprendermi. Lui è stato sfidato dalla nobil morte tante volte e ha sempre, incredibilmente e dannatamente, vinto. Gli ho sempre detto, che a lui, Keith Richards “gli fa una pippa”. Richards non ha cominciato a 12 anni, non ha vissuto per strada, ma in hotel o case con tutti i comfort e anche tutto il contorno non è neanche confrontabile. Luca - Keith 4 a 1 !

Jimmy è Jimmy (Page ovviamente). Lui dovrebbe averla venduta l’anima e, per quello, aver vissuto in quel modo tutto ciò che è stato. Dovrebbe aver convinto anche Percy e Bonzo, mentre Jonesy non l’avrebbe venduta per rimanere nella sua tranquilla oscurità (rispetto agli altri). Io sono io, il Conte.

Quando un giorno il Rif - l’altro mio fratello di sangue oltre che Maestro in questioni musicali - mi dice “Ma lo conosci John Campbell?! Blues e Led Zeppelin, devi conoscerlo per forza. Fatti questa versione di When The Leeve Breaks!”

I due Lp “One Believer” e “Howlin Mercy” e il gioco era fatto: John era il quarto, Diavolo.

A Man and his Guitar

Storie bellissime quelle del blues, c’è dentro tutto anche se la parte drammatica ha sempre la meglio. Il Blues è sofferenza, dolore, passione, anima, sesso.

John divento’, da allora, il mio assoluto miglior magnifico perdente!

“Ero così malridotto dopo l’incidente e le plastiche facciali che sembravo una mummia. Non ho potuto camminare per un bel po’, così iniziai ad ascoltare musica... John Lee Hooker, Howlin’ Wolf, Muddy Waters, e a suonare i loro dischi. Attraverso quella musica, cominciai a sentire qualcosa che non avevo mai provato prima. Non potevo parlare a causa dei punti sul volto, così divenni molto introverso e capii che la musica era la mia salvezza e che avrei suonato per il resto della mia vita” ... disse parecchi anni dopo.

Da ragazzino le sue passioni erano la chitarra e le gare di Drag Cars; in una di queste ebbe questo drammatico incidente. Migliaia di punti di sutura in viso, un polmone collassato e un rene messo male, oltre alla perdita di un occhio e a svariate fratture.

Si parte in perfetta atmosfera Blues, non si crepa, ma si soffre dannatamente.

Dopo una lunghissima convalescenza il quarto diavolo, diciassettenne, molla tutto e parte con la sua sola chitarra, senza un soldo, come musicista vagabondo. Suona ovunque in giro per il Texas prima con un trio, poi da solo, per pochi dollari nei locali più malfamati tra emarginati, bikers, ubriaconi, camionisti, nelle sale da biliardo, nelle stazioni di servizio, agli angoli delle strade.

Vende anche il suo sangue per cambiare le corde alla sua amata chitarra.

A Man and his Guitar.

Ogni volta che sale sul palco porta con se i suoi dolori fisici con i quali deve convivere quotidianamente, il ricordo del tragico incidente, di quella morte evitata per un pelo, della sua scelta di vivere suonando il blues, del suo non essere in armonia con gli altri in questo dannato mondo.

La sua musica, il Blues, come unica ragione di vita, unico modo per comunicare e sentirsi, a suo modo, felice.

Si creò una discreta fama, soprattutto nel sud dello Stato, entrò persino in sala d’incisione per un primo disco nel ‘75, ma tutto evaporò subito, nessun successo (il disco - Street Suite - spesso non viene nemmeno citato nella discografia ufficiale). Un’altra esperienza in studio nel ‘79, dove registra un demo acustico con 12 brani, venne completamente dimenticato ed ignorato fin dopo la morte (uscirà un cd nel 2000 con queste registrazioni “Tyler, Texas Session”).

Ma con i demoni del Blues non c’è storia; se ti sono dentro, li avrai per sempre, non ti lasciamo mai nel bene e nel male.

I sacrifici danno i loro frutti.

Verso la metà degli anni ottanta si trasferisce da amici a New York dove c’è una nuova scena blues di tutto rispetto. Suona in vari club, si fa conoscere nell’ambiente, finché il chitarrista - Blues ovviamente - Ronnie Earl, gli fa registrare un disco.

Poco più di una autoproduzione, due soli giorni di lavoro, praticamente registrato in diretta. Nove pezzi tra cover di brani storici e pezzi suoi. Stupendo, genuino e fresco, semplice ed intenso allo stesso tempo. Come cazzo suona la chitarra quest’uomo?! E la voce?! Favolosa.

La promozione del disco però è praticamente inesistente e tutto, in brevissimo tempo, scivola via nel nulla più assoluto.

Dovette anche vendere la sua amata “National”, appartenuta al grande Lightning Hopkins per mangiare.

La delusione è tanta, si mette a lavorare in un negozio di chitarre come un commesso qualunque.

Perso, distrutto, il peggior periodo della sua vita... perché, senza la sua musica, non può vivere.

A Man and his Guitar

Poi di quelle situazioni di vita blues che non ti spieghi... “ritrova” la sua chitarra, ricomincia a suonare con altri in un ristorante vietnamita.(si, vietnamita!) La voce si sparge, la gente accorre ad ascoltare quel chitarrista blues strepitoso, viene messo sotto contratto dalla storica Elektra, incide due album “One Believer” e “Howlin Mercy”, suona con tanti grandi ed in posti che meritano.

È felicissimo, sta suonando la sua musica, gira l’America e l’Europa in tour, ora è persino popolare nell’ambiente.

Ma John è il quarto diavolo e questa è una vera storia di Blues.

Soprattutto, Lui è il mio assoluto miglior magnifico perdente.

Durante un tour europeo, la notte del 13 giugno 1993 ebbe un infarto e ci rimase secco. Le ferite del corpo mai guarite?! I demoni?! Dopo il concerto non stava bene.... posso pensare che sentisse il suo Blues avvicinarsi ed andò a sognarlo, per sempre.

Ma questa è la fine mentre noi qui siamo all’aperitivo con il primo album, dove ci sono Lui e la sua chitarra. Solo l’amico Ronnie Earl in qualche canzone come seconda chitarra e, a memoria, batteria basso e armonica nel pezzo - favoloso - “Judgment Day”.

Un disco di blues non si spiega o racconta, si ascolta e si vive con tutta l’anima che si possiede.

Comunque “Going To Dallas” e “Bad Night Blues”, le prime due, spiegano tutto... poi non vi fermate sicuro, nove shortini uno dietro l’altro, quasi senza respirare. Dimenticate il blues “moderno” del grande Stevie Ray o quello pulito di Clapton. A chi assomiglia?! L’unico che mi viene in mente è lui, Robert Johnson, cinquant’anni dopo.

A Man and his Blues.

Luca l’ho incontrato poco tempo fa dopo tre anni. Perché lui è sempre per la strada, io sempre più per i cazzi miei. Se lui chiama, io mollo tutto e corro, lo sa. Ci eravamo sentiti solo per i nostri compleanni, così vicini tra loro che basta una sola telefonata per entrambi.

In una via “strana”, io a far colazione e lui a rientrare da non so quale nottata verso non so quale dimora.

È bastato uno sguardo, nessuna parola, un abbraccio intenso e lungo... poi “sdrammatizzando”, mentre ci allontanavamo, un “Sempre forza Inter, Fratello” detto all’unisono. Storie di Blues.

Buon ascolto.

Ciao Luca, Rip John.

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