Il maestro dell'orrore e del low budget John Carpenter si cimenta in un fantasy a tinte orientali davvero avventuroso in cui ritmo, azione e spasso sono assicurati, grazie ad un riuscito mescolone di arti marziali, magia, azione e commedia

Il camionista Jack Burton, spaccone made in USA all'ennesima potenza (interpretato con ironia dal fido Kurt Russell) si trova a dover fronteggiare un esercito di malviventi, maghi, mostri e stregoni che affiorano dall'antica Cina per funestare il quartiere di Chinatown (e poi magari espandere il dominio a tutto il mondo). Al suo fianco l'amico Wang, vero eroe e condottiero della situazione, la giornalista Gracie (Kim Kattral di “Sex and The City”), il vecchio saggio Egg Shen (Victor Wong de "L'ultimo Imperatore") ed un manipolo di valorosi combattenti del bene. La trama è una delle più classiche: il malvagio spirito Lo Pan (costretto da tempo immemore a causa di un’antica maledizione nel corpo di un vecchio malandato), al cui seguito opera un vero e proprio esercito formato da uomini, spiriti, mostriciattoli di ogni tipo (ma sempre gommosissimi!), rapisce la donna di Wang per farne la propria sposa, potersi reincarnare e dominare l'universo. Spetterà ovviamente ai protagonisti sventare le trame dell'orda liberando la ragazza prigioniera, penetrando nell'inespugnabile palazzo di Lo Pan.

Ciò che rende speciale "Big Trouble in Little China" (titolo originale molto più interessante di quello italiano) sono gli elementi di contorno e la caratterizzazione dei personaggi: insieme al simpatico Burton (una sorta di caricatura di Plissken di "1997 Fuga da New York") ricordiamo “le tre Bufere”, ovvero i luogotenenti di Lo Pan, dotati di poteri sovrannaturali che lasciano a bocca aperta, soprattutto quello che sprizza fulmini da tutti i pori. Gli ambienti dell’azione sono i più svariati: si passa da magazzini semivuoti, a discariche, grotte, stanze regali, saloni orientaleggianti, lunghi corridoi, catapecchie e quanto si possa immaginare. Il ritmo è indiavolato, la trama non è pretenziosa né inutilmente intricata e tutto scorre bene per l'ora e mezza canonica del film. Sono molte le scene cult sia d'azione che da commedia (grazie alle battute non sempre sagaci di Russell), ricche di citazioni cinematografiche. Lo stile della pellicola risente molto delle tecniche e dei gusti degli anni 80 (siamo per l'appunto nel 1986), specie per quanto riguarda recitazione e scenografie (il salone addobbato per le nozze sembra il palcoscenico degli Europe, dei Rockets o giù di lì!). Come al solito Carpenter trova il modo di sorprendere il pubblico, inserendo un finale (anzi, pre-finale) piuttosto bizzarro, che, a mio avviso, conferisce una certa dignità a Jack Burton e spezza il cliché dell’happy end a tarallucci, vino e baci. Altro elemento caratterizzante è l’accostamento stridente tra il moderno stile americano, pragmatico, cinico, un po’ volgare e dozzinale, ma sicuro di sé, e il mondo cinese, più legato alle tradizioni, che gli conferiscono un ordine morale completamente diverso e forse non del tutto compatibile con gli States. Non so fino a che punto Carpenter voglia promuovere una critica sociale, tuttavia non escluderei remoti contenuti di questo tipo.

Se una sera piovosa non sapete cosa fare per passare un’ora e mezza senza conoscere la noia, “Grosso Guaio a Chinatown” è quello che fa per voi (qualunque età, posizione sociale o titolo di studio abbiate), senza dimenticare, però, che questo film offre molto più che mero intrattenimento, ragione per cui, a distanza di 25 anni dalla sua non felicissima uscita, esercita un fascino particolare e rinnovato dalla patina del tempo.

Locandina italiana favolosa, fotografa veramente il film.

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