Sarò breve.
Nuova York. Estate del millenovecentosessanta.
La cifra è la negazione (e il capogiro): disarmonie, asimmetrie melodiche, aritmie notturne & frammenti di frasi acuminate, scheggiate a vezzo di frastuono.
C’è questo Ornette Coleman, folle ardimentoso in odore di eresia col suo sassofono di plastica, che imbastisce, sul finire degli anni Cinquanta, un nuovo modo di fare musica.
Lo si chiamerà, svicolando, Frìgezz.
Ora, Don Cherry, Ed Blackwell e Charlie Haden, membri del quartetto del profeta ed eresiarca texano, registrano in due sessioni questi cinque pezzi scardinati e frenetici. Al loro fianco, nientepopòdimeno che John William Coltrane, frescofresco di Giant Steps. Qui Trane e compagnia si divertono a sudare sette camicie, rimasticando con rara profondità dei pezzi di New Thing.
C’è già la voce riconoscibile di Trane, con la sua forza e nitidezza. Tremante e tremenda, accompagnata e sedotta dai guizzi di Don Cherry a rimestare nel torbido del suono, descrivendo —materializzando quasi— l’odore, le luci, la notte e tutto il resto della Grande Mela.
Sciabordando qua e là, con fare adamantino e leggero.
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