"The only thing to expect from John Coltrane is the unexpected" (Zita Carno)

Tutto il magmatico universo sonoro di John Coltrane sembra raccolto in questa sintetica, ma precisissima, definizione della pianista Zita Carno.

Descrizione che restituisce fedelmente l’immagine del più influente e controverso tenorsassofonista del jazz moderno quale incomparabile nocchiero, in grado di condurre l’ascoltatore all’illuminante scoperta di territori musicali inesplorati e imponderabili, laddove le uniche coordinate che è dato rinvenire sono la sensibilità immaginifica e visionaria e la straordinaria intensità.
"Giant Steps" è questo e tanto altro. È insieme terremoto che distrugge e slancio che rifonda. È passato, presente e futuro. È purissimo distillato di jazz, come pensi che sia, come vuoi che sia, come non immagini possa essere. "Giant Steps" è "il" jazz.

Alla fine degli anni '50, Coltrane sta ultimando le esperienze con Monk e Davis per potersi finalmente concentrare sul suo debut per la Atlantic. Anzi, è appena uscito dalle session di "Kind Of Blue" dove, con Miles, teorizza e applica schemi di atemporalità modale, mutuati dalla musica indiana, alla forsennata ricerca di un impianto formale caratterizzato da ampia e incondizionata libertà armonica: è il momento chiave in cui si comincia a riscrivere la storia della musica afro-americana.
Consapevole della propria maturazione artistica, Coltrane rivoluziona i canoni consolidati dell'improvvisazione, all'insegna di un nuovo e personalissimo slancio ritmico, dell'interesse per gli armonici e le doppie note, pervenendo alla creazione dei celeberrimi "sheets of sound" (cortine di suono, secondo la definizione del giornalista Ira Gitler), ovvero quelle lunghe note in legato, acuminate come baionette, che emergono prepotentemente dalla trama del brano.
Una rivoluzione incentrata, quindi, soprattutto sui solo, trasformati in frenetici torrenti politonali e organizzati in improvvisazione modale su un tessuto armonico a trama particolarmente fitta e complessa. Questa temperie si riversa magnificamente nelle due session organizzate nel maggio 1959, durante le quali Coltrane viene accompagnato dai sontuosi Tommy Flanagan al piano, Art Taylor alla batteria e Paul Chambers al contrabbasso.
Da queste session uscirono quasi tutti i brani dell’album, eccetto "Naima", scelta dalle successive session di dicembre, con Winton Kelly al piano e Jimmy Cobb alla batteria (praticamente, quindi, lo stesso personale di "Kind Of Blue", escluso Miles… il che è già tutto un dire).

Il risultato è costituito da sette tracce, tutte composizioni dello stesso Coltrane, praticamente perfette, tirate allo spasimo e ispirate dalla prima all'ultima nota. L'album si apre con la title-track, ed è immediatamente percepibile il senso e il peso di una evoluzione stilistica che non ammette sguardi verso il passato.
Il titolo è un evidente riferimento agli ampi salti in modulazione di tonalità richiesti dal brano, tecnicamente quindi molto ostico, per via di un giro armonico che impone velocissimi cambiamenti, ascendenti e discendenti, e altrettanto repentini adeguamenti del "pensiero musicale"; l'armonica "saltellante" è particolarmente udibile anche nella linea di basso.

Coltrane conduce le danze sciorinando un suono potente, pieno e deciso, con intensità ed emissione eccezionalmente uniformi su un registro di tre ottave. Un sobrio e squisito assolo di Flanagan fa, infine, da contraltare al fiume in piena che scaturisce dal sax tenore. "Cousin Mary", dedicato appunto ad una cugina di Coltrane, vuole essere nelle intenzioni dell'autore brano descrittivo, e si caratterizza per l'andamento swingante e per un accennato e gradevole aroma bluesy, pur se in totale assenza di progressioni blues convenzionali.
A seguire la serratissima "Countdown", 141 secondi di flusso sonoro indemoniato che proiettano il jazz avanti di decadi: quello che altri non sono riusciti a fare in una carriera intera. In "Spiral" un unico pedale al basso lega una meravigliosa progressione di accordi mentre, a metà brano, Flanagan e Chambers cesellano due elettrizzanti assoli. Una linea semplice, ma particolarmente accattivante, connota "Syeeda's Song Flute", ispirata dalla figlia decenne di Coltrane e costruita come una canzoncina per bambini. Poi è il momento della eleganza e della classe infinita di "Naima". Il brano, tenerissimo, dedicato alla moglie di Coltrane è articolato, come in "Spiral", mediante una serie di accordi sospesi su un pedale di basso, e si adagia sull'accompagnamento discreto e raffinato di Kelly, Chambers e Cobb: impossibile rimanere indifferenti di fronte alla maestria con la quale il tenorsassofonista riesce a combinare la straordinaria creatività melodica con una profonda densità emozionale, sia nella composizione che nella esecuzione.
"Naima" ci disvela un uomo fortemente consapevole delle proprie emozioni e passioni, desideroso e capace di scavare nella propria anima per far esplodere all'esterno il turbinio del suo più intimo sentire. La chiusura è riservata a "Mr. P.C.", tributo all’arte di Paul Chambers, qui sugli scudi assieme a Flanagan, nello spazio ritagliato in mezzo al consueto maremoto coltraneiano.

In conclusione, capolavoro assoluto, da avere in questa versione originale della Atlantic o, ancor meglio, nella Deluxe Edition farcita di succulente alternate takes. Consigliatissimo, altresì, il box “Heavyweight Champion” con tutti i sette album usciti per la Atlantic.

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