Quando Céline nel Viaggio scrive, nella sezione africana, che lì una scatoletta di sardine aperta a mezzogiorno emana tanti di quei riflessi e colori che assume l’importanza di un accidente, l’ombroso francese usa il concetto per dare l’idea di quella caratteristica tropicale che lui chiama isteria, una fibrillazione bollente della realtà che fa scapocciare il povero europeo in fuga dalla guerra. “Carnevale di giorno, colabrodo di notte, una guerra in sordina”. Non è servito a molto sottrarsi al porco esercito che smaniava di affettarsi sulle baionette tedesche, visto che dal tagliere Ferdinand cade direttamente nella brace delle colonie, un luogo dove il pallido europeo teme la forte luce che illumina il mondo, le cose che essa mostra alla sua mente civile e brumosa.
Ovviamente questa è la conclusione di un animo infelice, a disagio a contatto con la specificità, col momento, col singolo istante rivelatore, attratto com’è dal concetto generale, dalla categorizzazione sprezzante, dall’arroganza di chi non vuole sentirsi a casa se non alla sua stessa corte, e non intendo la Francia. Una dinamica che io, con una categorizzazione sprezzante, potrei estendere per un momento all’arte: quanto più sarà cerebrale, generale nell’abbraccio, alta nel proposito l’opera (in pratica più s’avvicina alla filosofia), tanto sarà ubratile l’artista e il suo pensiero. Al contrario, per stringere: mirare all’ente incuneandosi semplicemente nell’esistente senza sovrastrutture sarà il segnale di un’artista di segno opposto, (pro)positivo, indomito, alogico. Superumano per i nichilisti tra i nichilisti.
Un esempio perfetto da contrapporre a Céline sarebbe Szymborska, ma siccome sono un animo infelice a casa tengo il primo e non la polacca. Visto che dovrei ricorrere a Google, lasciamo perdere.
Un ragionamento completamente sbagliato, il mio, ma ciò significa che del vero in questo discorso c’è. Nel 1965 Coltrane coi suoi prende con la sinistra un approccio massimalistico e calcolatissimo, con la destra un minimalismo selvaggio e promiscuo e fa le magie. Il free all'europea, macchie su un muro, non può competere con una libertà così raffinata e acclimatata a se stessa, anche se il quartetto va pure oltre, perché si sentono i tendini scattare come scosse elettriche mentre cercano l'oltre della forma, ma pure i respiri regolari e insieme ansiosi dei ladri che fanno il colpo della vita. Gli spunti dei pezzi si riducono a un nonnulla, per quanto studiato. La musica si aggrappa alla composizione disperatamente, sbardellando e sfrombolandosi alla mercé della radiazione solare, uno stendardo ora teso come una lastra, ora scombinato come un capriccio. La bellezza e la felicità di un istante collidono con la malinconia struggente di una vita, arancione nero arancione nero arancione nero. McCoy Tyner, mixato dimmerda, grandina sul ritmo come un pugile strafatto di ketamina, mentre Elvin Jones officia l’arrivo di un dio che s’è dimenticato come si fanno i miracoli. Dietro Jimmy Garrison idea torri di vertigine. Coltrane fa fuoco. Ha strappato il legno al suo cuore, le scintille al suo cervello e ne fa dono al mondo gettando all’aria i coriandoli inceneriti di un progetto geniale.
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