Lo ricordo bene quel giorno di Maggio. Eravamo la solita combriccola itinerante: io, la fidata Volvo, l'amorevole ipod e il navigatore faciadimerda nella desolata campagna veronese, più precisamente tra la transpolesana e l'autostrada del Brennero. Mi ero perso, andavo a casaccio, da Minerbe dovevo puntare verso Mantova. Una strada interrotta e il faciadimerda mi andò in crisi. In crisi piombai velocemente anch'io. Che cojoni! Cosa ascoltare? Le mie dita incrociarono "Ragland" di John Convertino, colonna portante e fondatore degli amati Calexico e sezione ritmica degli altrettanto amati "Giant Sand". Schiacciai play e immediatamente ci acclimatammo con la desolazione che i continui campi coltivati, geometricamente ritagliati dai fossati, infondevano nel paesaggio circostante. John ci intratteneva con isolati tocchi di pianoforte, malinconici, evocativi, solitari. Poche parole, nemmeno un grido, solo, di tanto in tanto, una rullata o una spazzolata di batteria donavano ai pezzi un pathos misterioso di stampo dark-jazz. Fuori dai finestrini tutto ci scorreva lento, nulla pareva avere importanza, il nostro vagare verso la bella patria virgiliana iniziava però ad avere un senso. Potevamo goderci "Ragland" pubblicato nel 2005 dalla label tedesca Sommerweg. Dodici pezzi registrati su un otto piste, come scrive John, nella sua casa molto polverosa, con due microfoni, un piano, un vibrafono e una batteria, mixato da Jim Waters.
Musica iper-riflessiva per chi ha veramente poco da fare, disco per orecchie stanche in attesa del meritato riposo notturno, musica per chi ha voglia di fare i conti con se stesso. Canzoni inerti e oziose come sconfinate praterie solcate da lenti fiumi poco vogliosi di arrivare al mare.
Suoni sperimentali e fuori dal tempo dove le sensazioni jazz fanno fatica a riaffiorare.
Musica depressa adatta ai tempi in cui viviamo.
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