Un concerto di John Fogerty è una rimpatriata.
Una dose massiccia di sano rock and roll con spolverate country, da condividere con buontemponi di ogni età e colore di capelli, alla faccia delle mode del momento e delle facciate estemporanee di molti moderni musicanti. Con Fogerty si va sul sicuro. In fondo, si sa, è solo Rock and Roll, ma ci piace.
La serata è un sabato di fine luglio, il luogo la Cavea dell'Auditorium di Roma.
La band anticipa l'ingresso del leader di qualche istante, giusto il tempo per un trailer sonoro compatto, in perfetto stile “the south will rise again”. E che band vien da dire: Dorsey Burnette e il fedele Hunter Perrin alle chitarre, un maestoso Kenneth Aronoff, che prende a schiaffi la batteria e fa letteralmente schizzar via le bacchette dalle proprie mani quando la fisica centrifuga ha la meglio sui suoi nervi. Chiudono le fila Glen Hochalter al mandolino e al violino bluegrass, James Matthew Nolen alle tastiere e David Santos al basso.
Sembrano dei lestofanti di frontiera che se la spassano.
Poi arriva lui, splendido ultrasessantenne che il rock preserva nel fisico e nella tecnica. Primeggia sui più giovani chitarristi senza far fatica: è ancora uno dei maestri più conclamati della sei corde e di lì a poco lo dimostrerà.
Per la sua prima esibizione romana Fogerty presenta una setlist forse un po' ruffiana, certamente quella che la maggior parte dei presenti attendeva.
Si parte con “Hey Tonight”, “Green River”, “Who'll Stop the Rain”, ed è subito delirio.
Sembra in tutto e per tutto un concerto dei Creedence. E il nome del tour di quest'anno, -Revival-, non è davvero un caso... Poteva sussurrarlo più sommessamente che Lui, Fogerty, era i Creedence (e noi lo sapevamo comunque), e invece lo ribadisce spavaldo e con fierezza.
Fogerty si riappropria del passato e le gemme scorrono affilatissime lungo la schiena. Su tutte “Have You Ever Seen the Rain”, “Suzie Q”, “Midnight Special”, “Born on the Bayou”, una superba “I Put a Spell on You”.
I bis sono una ulteriore molla sotto il culo di un pubblico fin troppo compassato, definitivamente conquistato dal ritmo di “Down on the Corner”, “Fortunate Son”, “Rockin' all Over the World” e “Proud Mary”.
Ed eccoli, tutti in piedi finalmente, parterre e tribuna, biondi e calvi, di 20 e 60 anni, ad accompagnare l'ultimo saltello di Fogerty, che anticipa di una croma la potente chiusura della batteria di Aronoff.
Sembra facile.
In fondo, è solo Rock and Roll.
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