Una quieta musica elettronica dalle sonorità terse e avvolgenti. Un lavoro che segna il ritorno di John Foxx dopo dodici anni di silenzio. Il musicista inglese si era lasciato alle spalle quattro album da solista nella prima metà degli anni '80, mentre ancora prima, nel cruciale biennio 1977-78, aveva guidato la band da lui fondata, gli Ultravox, lungo i sentieri allora nascenti della new wave.
"Cathedral Oceans" esce dunque nel 1997 e si guarda bene dallo sgomitare, dall'alzare la voce per farsi notare. Le undici tracce di cui è composto procedono con meditata lentezza, privilegiando suoni limpidi e cristallini che fanno venire in mente l'aria pura in alta quota o, visto il titolo, le brezze incontaminate degli oceani.
Solo in due casi i brani sono del tutto strumentali (la title-track in apertura e la breve "If Only"): negli altri compare la voce stessa di Foxx, ma a tal punto filtrata e trattata elettronicamente da risultare una fonte sonora aggiuntiva rispetto ai suoni sintetici che costituiscono l'ossatura dell'album.
Una voce che non intona testi ma procede in un misurato salmodiare. Soluzione suggestiva nei primi brani ma che corre il rischio di farsi un po' stucchevole se, come accade, viene ripetuta senza variazioni lungo tutta la durata dell'album: ecco l'unico appunto che si può muovere a questo placido lavoro di ambient music.
Sul finire degli anni '90 l'elettronica viveva una delle sue tante evoluzioni, l'estetica glitch per esempio stava appena nascendo: "Cathedral Oceans" è del tutto estraneo a questi sommovimenti e privilegia una concezione tradizionale del suono elettronico che soddisfa in particolare chi ama suoni puliti e vitrei. Né nostalgico né futuribile, l'album è un lavoro che a tutt'oggi non lascia indifferenti gli appassionati del genere.
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