Non so nulla della jungle, proprio non me ne intendo di Aphex Twin e mi chiedo perché certa house si definisca acida. Rave manco per sbaglio, gli anni 90 li ho vissuti da bambino.

Eppure a me sta roba mi piace, e nemmeno poco. Pur essendoci tutti i presupposti per il contrario: uno dei chitarristi che mi hanno fatto innamorare del rock da ragazzo, una carriera solista interessante e varia, bruscamente abbandonata per darsi alla acid house. Ma scherziamo? L'ultimo disco suo che ho ascoltato bene fu quello del 2012, Pbx Funicular Intaglio Zone, che mi piaceva abbastanza forse per il mio orecchio digiuno da drum n' bass e simili. Ma era un piacere solo intellettuale, senza sentimento. E infatti quell'album non ho mai più avuto voglia di ascoltarlo.

I successivi lavori li ho solo sfiorati, ma sta cosa di chiamarsi Trickfinger e fare la musica da party proprio non la capivo. Un autolesionismo e disinteresse per i gusti del proprio pubblico che mi suscitava un misto di ammirazione e disprezzo, come invidia per quella sua cristallina follia.

Almeno un lustro così, di guerra fredda e rimpianto. Poi basta una canzone per cambiarti il mondo e questa volta ne ha infilate anche due o tre, intriganti. Ho comprato il disco per un moto di nostalgia, per rivedere il suo nome stampato in copertina. E facendolo girare in macchina me ne sto innamorando, come ci si innamora di una bella sconosciuta, proprio perché è tutto mistero e profumi esotici. Occhi che non sai interpretare.

Di più, nella mia incapacità di definite con precisione questi suoni sintetici, ho capito una cosa. Che conta poco se il beat è quello delle pelli di una batteria o prodotto da una drum machine o chissà cos'altro, un programma al pc. I suoni sono solo un tramite per passare quelle visioni astratte che sono la musica, le cosiddette canzoni. Nel difficile percorso che porta ad aprire gli orizzonti verso forme musicali diverse, questa dimensione elettronica del buon Frusciante mi pare particolarmente efficace per tradurre in suono la sua ossessione creativa.

Non so spiegarlo bene, ritmi franti e velocissimi, che sfigurano le armonie e imbrattano le campiture di synth. John batterista astratto mi piace per la sua virulenza inesausta, e la capacità di creare panorami sonori che uniscono le sue classiche intuizioni melodiche a tessuti sfrangiati e zoppi, suoni masticati e irrisolti. È come se avesse rinunciato alle formalità della canzone classica per dedicarsi tutto alle alchimie pure tra ritmo e armonie, che se uno ascolta bene i suoi esordi (Niandra LaDes) o altri album particolarmente riusciti (To Record Only Water...) si accorge che l'ossessione c'era tutta già lì, ma compensata dalle melodie vocali e dal racconto di pussy, eroina, morte e rinascita. Qui è oltre la narrativa, resta solo l'ossessione formale. (L'unico spunto tematico è la dedica al suo gatto morto, che dà nome al disco)

Alla fine due idee mi restano. Che questa musica sarà anche da rave ma mi pare decisamente più ambiziosa nelle forme e più sperimentale di gran parte del rock degli ultimi venti-trent'anni. È una sfida cerebrale che si può vincere, un'eruzione ritmica che appare caotica ma ha le sue regolarità, serve solo più tempo per dominarle. Sento come un'affinità con il metal migliore, musica senza compromessi.

E un pensiero a quei musicisti che cambiano mondi, che si buttano come bimbi con paletta e secchiello sulla spiaggia dei suoni possibili. Ci aprono orizzonti, che magari prima ignoravamo per la pigrizia di rifarci sempre ai soliti nomi e generi rassicuranti. Insomma, servono come il pane gli artisti come Fruscio (in questo caso specifico), che ti traghettano oltre i discrimini imposti dal tuo orecchio viziato. Ti sottraggono la zona di comfort e in qualche caso riescono a portarti con loro su nuove lune, che prima non vedevi o non volevi vedere. Vediamo se riuscirò a piantarci la mia bandierina.

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