Il film di John Hillcoat, tratto dal romanzo di Cormac McCarthy, è una fedele nonchè monotona riproposizione delle atmosfere del romanzo.

Sono giunto alla visione del film dopo aver lungamante penato: non uscirà al cinema in Italia (troppo deprimente per i distributori), le sale sono tutte occupate da storie rassicuranti e/o commedie dove la famiglia e le pacche sulle spalle riportano tutti a considerare la vita una cosa indolore, allegrotta e dolceamara.

La visione del film sul mio portatile non ha sicuramente reso giustizia alla splendida fotografia, alla cura dei suoni e alla ricostruzione di un mondo deprivato da ogni possibilità di vita e di speranza.

Le immagini vengono seguite da un sinistro bordone sonoro di fondo: rumori di alberi che cadono, lo sfrigolare delle braci che si spengono, un rombo potente che riverbera in lontananza.

In questo il film risulta inquietante e ancora più disperato del libro non essendoci il florilegio della lingua di McCarthy a salvare l'orrore portandolo ad un livello mistico ed elegiaco.

Le interpretazioni degli attori (Mortensen in assoluto) sono sofferte ed estremamente realistiche. Su tutto cala una coperta di sporcizia e cenere, ci sono corpi che occupano le strade, bande di cannibali che razziano la terra.

La cosa che però stupisce è la scelta del regista di tralasciare alcuni passi davvero truci del libro per "addomesticare" la visione e non scontentare nessuno. Come se la vista di una donna col figlio inseguiti ed uccisi dal branco fosse più tollerabile del famigerato bambino sul girarrosto, l'esplosiva escalation degli ultimi capitoli del romanzo.

C'è una scena su tutte che, obiettivamente, risulta essere la spiegazione di perchè tanto astio in America per una pellicola come questa: il padre e il figlio entrano in una grande casa vittoriana, ci sono pile di scarpe e vestiti intorno, scendono nello scantinato a cercare cibo e trovano un gruppo di derelitti seminudi, con le membra tagliate, imprigionati per soddisfare la fame del gruppo dei più forti.

Non so perchè gli Stati Uniti, patria del porno più estremo e ormai sdoganato, quello che ormai traboccherà dai nostri pc per sommergerci tutti, abbia così paura di sondare un aspetto truce ma reale della vita umana: la violenza del simile contro il simile. Forse la paura di guardarsi allo specchio ha fatto sì, e non solo negli U.S.A, che questo film venisse in un certo senso "bandito" di circuiti principali, per precipitare nella sicura distribuzione in dvd.

Il film, ripeto, non è al livello del romanzo, ma si trasforma man mano che la visione procede in un vero e proprio incubo ad occhi aperti. Non basta il finale consolatorio a salvare la discesa che noi compiamo con i protagonisti verso il mare...in questo è magistrale l'anticlimax con cui i nostri due "eroi" scalano le ultime dune e si trovano davanti un orizzonte grigio e morto, la spiaggia colma di scheletri e rifiuti.

Anche in questo film esiste un elemento "pornografico" ed è forse il tentativo, impossibile, di rendere per immagini una reale disperazione e il vuoto cosmico di un mondo dove tutto è perduto.

Qualche giorno dopo la visione del film ci fu il terremoto ad Haiti, curioso ed inevitabile come certe immagini, e certe storie, mi abbiano riportato a questo film, spettrale e mortifero nella sua onesta monotonia diperata.

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