Uno dei migliori bluesmen di sempre, capostipite dello "stile Detroit" post-conflitto e al contempo compositore ed esecutore ermetico ed originale, John Lee Hooker ha attraversato il Mississippi e tutta la storia del blues, dal "modello campagnolo" al boogie elettrico degli anni ‘50, per continuare in seguito come virtuoso con le piccole formazioni americane dei '60 e terminando con il revival contaminato dalla "psichedelia" dei Canned Heat e nei vari duetti con artisti coevi.

La discografia è immensa ma da sempre prediligo tuttavia la manciata di dischi registrati e pubblicati dalla Chess Records, sarà perché in questi s'evidenzia a pieno lo stile solista: malinconico, forte, addirittura feroce in alcuni passaggi con quella voce bollente e la chitarra ossessiva, sarà perché sono legato alla discografia della "piccola" etichetta dei fratelli Chess (per chi non conosca si consiglia la visione della pellicola "Cadillac Records", storia romanzata ma pur sempre da riscoprire).

House of the Blues (1960) esce due anni dopo il graffiante esordio discografico in LP (almeno di quello ufficiale in quanto per sfuggire ai contratti registrò spesso attraverso svariati pseudonimi) e rimane uno dei suoi dischi essenzialmente più brillanti. Hooker in studio suona in presa diretta con il solo ausilio della chitarra e della voce, grazie all'approccio drammaticamente recitativo che lo contraddistingue, una serie di brani già da tempo presenti nel suo originalissimo repertorio. Aiuta la ritmica, già abbondantemente presente nell'intenso modo di porsi all'elettrica, con i piedi segnando il tempo, cadenzato e costante. Le canzoni "Women & Money" e "It's My Own Faul" provengono invece da una sessione di registrazione dell'anno precedente con Vernon Harrison al pianoforte e Eddie Kirkland alla chitarra, pezzi meno brillanti nelle parti canore. L'atmosfera è ipnotica grazie soprattutto al riverbero meccanico e ai giusti dosaggi di delay; il suono esprime, con una miscela alternata di durezza e riflessività, la cruda e dolorosa vita nel ghetto nero in contrapposizione con l'immagine di copertina che sembrerebbe riportare la questione alle origini campestri a Clarksdale e quindi alle primitive sonorità. In realtà il disco trasmette proprio attraverso il controsenso figurativo tanto la carica di violenza repressa di Hooker quanto la sua compassionevole nostalgia.

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