Due sconosciuti si incontrano viaggiando in treno. Scatta un’attrazione immediata, ma anche un disegno oscuro che il più disturbato dei due è deciso a portare a termine a qualsiasi costo.

Potrebbe sembrare la sinossi di Strangers on a Train di Hitchcock, ma è anche l’incipit di Leave Her to Heaven - titolo colto, ispirato ad Amleto, e puntualmente straziato dalla distribuzione italiana, che lo trasformò nell'atroce Femmina folle.

Il film del 1945 appartiene interamente a Gene Tierney, l’attrice hollywoodiana forse più bella e sottovalutata della sua generazione. Qui è Ellen Berent, giovane e ricchissima ereditiera con seri disturbi della personalità. Durante un viaggio in treno verso il New Mexico, dove intende disperdere le ceneri dell’adorato padre nella sua proprietà preferita, incontra lo scrittore Richard Harland e ne resta immediatamente colpita. Il loro rapporto si sviluppa in modo inquietante: l’attrazione di Ellen è sin da subito morbosa, ma bisogna saper leggere tra le righe per cogliere, dietro la sua bellezza statuaria, un’inquietante distorsione ossessiva.

Ellen ha un rapporto freddo con la madre e con la cugina Ruth, che la considerano strana, imprevedibile, eccessiva. Nonostante qualche avvisaglia, Richard finisce per sposarla dopo una conoscenza brevissima. Ma la luna di miele dura poco prima che Ellen riveli la sua patologica gelosia nei confronti di chiunque si frapponga tra lei e il marito, incluso Danny, il fratello disabile di Richard.

La scena in cui Ellen porta Danny a nuotare nel lago rimane una delle più agghiaccianti della storia del cinema per l'atteggiamento impassibile di Ellen mentre osserva il ragazzo annaspare e annegare. Richard, devastato dalla morte del fratello, non sospetta ancora la natura della moglie. Ma il peggio deve ancora venire.

La seconda parte del film assume i contorni di un Gone Girl ante litteram, ma ancora più spietato: Ellen, in un gesto che potrebbe far inorridire una società ossessionata dal culto della maternità, si procura un aborto per eliminare un possibile rivale per l’affetto di Richard. Poi, quando intuisce che il marito si sta avvicinando troppo alla rassicurante Ruth, orchestra addirittura la propria morte per incastrarlo per omicidio.

Famoso per essere un noir a colori, Leave Her to Heaven è in realtà qualcosa di più di un semplice noir. Il film ribalta la classica dinamica tra dark lady e protagonista maschile: Cornel Wilde, nei panni di Richard, è quasi incolore di fronte alla potenza scenica di Tierney, perché Ellen non è semplicemente una femme fatale, ma una predatrice psicopatica.

Per descrivere Ellen, si è scomodata persino la tragedia greca, sia con il complesso di Elettra - che spiegherebbe la sua malsana ossessione per il padre - sia con la figura della sirena, il cui canto ammaliante trascina gli uomini verso la rovina. Un’interpretazione particolarmente calzante, vista la fine di Danny.

La regia di John M. Stahl è elegante e glaciale, per un film dove la bellezza inganna e la tragedia è dietro l’angolo. Stahl fu uno dei fondatori dell’Academy, un tempo istituzione di prestigio, che oggi sembra invece distribuire Oscar a caso.

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