C'è chi l'ha conosciuto con lo spartiacque "Solid Air". Chi s'è fatto abbagliare dalla semplicità di "Bless the Weather". Chi predilige le ultime produzioni, tra elettronica e richiami al passato. Addirittura qualcuno che forse non resiste al fascino pop di "One World". Si potrebbe discutere per molto, e tutti avrebbero la loro parte di ragione.
Quest'opera è invece una sorta di tesoro nascosto: che poi l'abbiano ascoltata in tanti o in pochi non fa differenza. Sicuramente al tempo non furono molti i fortunati; stampato in diecimila copie e venduto porta a porta dallo stesso Martyn, chissà, magari poteva essere confuso (o spacciato?) per l'omonimo di qualche anno prima. Ad ogni modo, qui dentro c'è probabilmente il meglio del chitarrista angloscozzese: registrato all'università di Leeds nel febbraio '75, è una sorta di compendio dell'arte martyniana fin lì prodotta. Inevitabile allora che venga privilegiato il periodo più felice, suppergiù dal '70 in poi: in repertorio, fantastiche versioni di Solid Air, I'd Rather Be the Devil, Make No Mistake, dense, dilatate, sognate e sognanti, suonate con un feeling ormai marchio di fabbrica del chitarrista. E poi, una torrida versione di Outside In ad aprire il disco e fungere da biglietto da visita, la chitarra maltrattata in un vulcano che ribolle sotto i colpi - ora schiaffi ora tiepide carezze - di Martyn. Sorprende lo spettacolare interplay tra i musicisti, in particolare tra Martyn e il contrabbasso di Danny Thompson (acrobatico in Make No Mistake), seconda voce e ideale proseguimento del chitarrista. Sorprende ancora una volta la voce di Martyn, che con questo disco si ritaglia un posto tra i migliori interpreti dei '70: ora ruvidissima, ora cartavelina, l'artista ha ormai assunto la capacità di modulare lo strumento vocale secondo le sue esigenze. La formazione a tre riduce all'osso il sound, risaltando ulteriormente le caratteristiche personali dei musicisti.
In tante pieghe dei pezzi alcuni forse riconosceranno l'influsso di gruppi che del suono dilatato avevano fatto la propria bandiera (i maestri krauti per arrivare ai Pink Floyd), ma il dato di fatto è che negli anni John Martyn ha acquisito un suono che è solamente suo: fatto di una voce particolarissima, di un aggeggio - l'echoplex - di cui poteva tranquillamente arrogarsi il diritto di ius primae noctis, e finanche di una tecnica mostruosa, abbinata peraltro a gusto e conoscenza della tradizione. Un pilastro del suo tempo.
Ultima menzione per un chitarrista che appare in poche tracce, ma che partecipò attivamente ai concerti di quel tour. Paul Kossoff aveva appena ricevuto il benservito dai Free, e l'amico gli tese una mano anche per farlo uscire dal suo lungo tunnel. La sua linea secca e fluida, che compare in Outside In e nei conclusivi Clutches e Mailman, ne conferma ancora una volta il personalissimo tocco, anche se raramente qui si scorgono i lampi che irradiavano i compagni Free.
PS la riedizione del 2006, curata dalla Snapper, aggiunge un altro cd con varie esibizioni live dagli ultimi anni Settanta fino alla fine dei Novanta, peraltro poco documentato e non di eccelso valore; motivo per il quale in questa sede ho preferito concentrarmi sull'album originale.
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