"Il Vento e il Leone" del 1975 è un film d'avventura esotica come se ne ricordano pochi. Quindi, anche le casalinghe disperate (forse, la categoria che ha fatto la fortuna del cinema), a vedere Sean Connery che interpreta la bella copia di Sandokan e Candice Bergen che gli resiste sotto quel fungo di capelli biondi così artificiosamente acconciati, dovrebbero gridare al capolavoro. Ma oggi le casalinghe disperate hanno altri svaghi e il cinema non ha più questo potere. Lo stesso che causò l'inflazione del nome "Sabrina" all'indomani dell'uscita del film di Wilder o che, fatte le dovute proporzioni, fece de "La Battaglia di Algeri" un manuale di guerriglia urbana. La televisione lo ha rovinato, banalizzando e involgarendo le "immagini", catturando e solleticando i gusti peggiori del pubblico al motto di "generalizzare, generalizzare, generalizzare!".
Il risultato è che il "desiderio di cinema" s'è ridotto a voglia di andarci, tanto per non scompagnare la pizza e la birra il sabato sera, mentre noi siamo distanti anni luce da chi al cinema andava per godersi una macchina impetuosa di sogni e si divertiva con una pienezza che noi, in tutta onestà, ce la sogniamo. Quando il cinema era un evento unico, davvero collettivo (ci si portava le sedie da casa, ricordate "Divorzio all'italiana"), e non ripetibile. Quando c'era un'altra sensibilità verso le storie che i film raccontavano, forse più ingenua ma certo rimpianta (almeno da me). Sarà pure un'idea del cinema molto provinciale ma in questo caso (e in svariati altri) viva la provincia! Per nostra fortuna John Milius, con quei pochi e meravigliosi lavori degli anni settanta, prima di smarrirsi senza speranza a partire dagli anni ottanta, ci ricorda che il cinema è prima di tutto sogno e illusione (ed incanta finché rimane tale), e va a ripescare quel desiderio di cui parlo, sepolto ma che per qualche strana ragione genetica ancora coviamo.
"Il Vento e il Leone" è il capolavoro nascosto di Milius. "Un Mercoledì da Leoni" è quello più menzionato, "Apocalypse Now" (la sceneggiatura) quello più ostentato, "Corvo Rosso non avrai il mio scalpo" e "L'uomo dai sette capestri" (per entrambi lo script) i gioielli da rispolverare. John Milius lo girò che aveva trent'anni ma un credito già illimitato presso le case di produzione. Aveva il talento particolare di dare un colpo al cerchio del cinema d'autore e uno alla botte dei guadagni, senza i quali a Hollywood non vai da nessuna parte. Questo film lo dimostra in modo luminoso. Un film d'avventura. Un film politico nel senso migliore che si possa attribuire alla politica. Un film filoamericano (e qui molti storceranno il naso o peggio chiuderanno la pagina). Un film d'amore su un amore impossibile a nascere. Innanzitutto è il film che consacrò (tardi, è vero) Sean Connery, assieme a "L'uomo che volle farsi re" -dello stesso anno- di John Huston (il quale a sua volta recita in questo film la parte del segretario di stato americano John Hay). Vi interpreta la parte di Mulai Ahmed Er Raisuni (traslitterato in Mulay Achmed Er Raisuli), sceriffo dei Berberi del Rif, che rapì agli inizi del novecento il playboy greco-americano Ion Perdicaris e figlio. Storicamente quest'azione si inseriva nella lotta personale del Raisuni al sultano del Marocco, nulla più che un pupazzo nelle mani delle potenze europee. E storicamente si risolse col pagamento del riscatto.
Nel film John Milius scompagina un pò le carte immaginando uno scenario più fantasioso e complesso e cogliendo l'occasione per dipingere il doppio ritratto di due grandi uomini, nemici eppure simili più di quanto essi stessi suppongano. Da un lato il presidente Teodoro Roosevelt, un mito di Milius: un presidente molto popolare (demagogo direbbero i maligni), che non consuma dolci per mantenersi in forma, forma fisica che esercita tirando di boxe, praticando tiro con l'arco, andando a caccia e tanto altro. Ma Brian Keith (dimenticato attore), che lo interpreta, è bravissimo quando si tratta di rivelarne la malinconia di fondo, quella di un uomo che tiene troppo alla sua vita per vedersela sottrarre giorno dopo giorno da una salute malferma e da una cecità incipiente. Ha il culto delle armi (il suo amico del cuore è un Winchester), è ansioso di mostrare al mondo la novità e la forza della sua nazione -parole dolci e grosso bastone- e non bada molto alla diplomazia. Ecco la prima polarità del film: l'azione politica (di Roosevelt) contro la diplomazia (delle potenze europee): non siamo mica tanto lontani da oggi. Cosicchè Roosevelt sembra non aspettare altro che quel rapimento per agitare le acque internazionali: solo che nel film ad essere rapita è una donna, Eden Pedecaris (due o tre capitoli fissi in un ipotetico trattato "La storia del cinema attraverso le donne che ci hanno fatto sognare") e i suoi due figli. E' una donna determinata e spavalda, non teme o finge di non temere il Raisuni, prima ancora di capire che il "barbaro" che l'ha rapita non è come lei crede: è un uomo colto, religioso e consapevole, niente affatto un fanatico integralista, che non oserebbe torcerle un capello. Anche i suoi uomini, pur visibilmente rozzi e meno istruiti, conoscono il rispetto che le devono e la guardano più con curiosità che con concupiscenza. L'incidente mette di fronte il governo marocchino, più nelle mani del pascià di Tangeri che in quelle di suo nipote il Sultano del Marocco, e gli Stati Uniti. Francia e Germania, che hanno consistenti truppe in Marocco, appoggiano il pascià, che non intende cedere alle richieste del Raisuni: molto danaro, un salvacondotto per sè e per i suoi uomini, il controllo politico del Rif e... la testa del pascià .
Dopo dieci minuti contati di diplomazia, la marina militare americana occupa manu militari Tangeri, approfittando del fatto che la guarnigione tedesca è di stanza nella capitale, e costringe il pascià ad accettare le richieste del Raisuni, tranne che per la sua testa s'intende. Il Raisuni è insoddisfatto e temporeggia ma intanto nuove truppe tedesche sbarcano in Marocco. Raisuni infine accetta di consegnare gli ostaggi ma nel luogo dello scambio viene tradito e fatto prigioniero dai tedeschi dinanzi allo stupito ancorché impotente presidio statunitense. Il capitano della pattuglia americana scorta la signora Pedecaris e i figli in una casa in attesa del mattino per ripartire. Finisse così, il senso d'ingiustizia ci annoderebbe la gola e difficilmente riusciremmo ad allentare la tensione che c'invade . Il finale è invece un delirio fantapolitico nel quale trovano sfogo o sublimazione tutti i sentimenti che il film ha insinuato sottotraccia dentro di noi: l'amore impossibile di Eden per il Raisuni, la ribellione, la speranza che il nuovo secolo porti con sè un ordine politico migliore, l'odio per la guerra che ormai s'è fatta inumana -combattuta con le prime mitragliatrici - e il trionfo dell'eroe kalos kai agathos. Epica, manco a dirlo.
John Milius è stato un narratore straordinario, anche nei suoi film meno riusciti. Qui è nel pieno della sua maturità, e si vede. Pochi film gli sono pari per speditezza e vigore di narrazione, per le suggestioni più varie che sa trasmettere; si intuisce che Milius ha il controllo totale della materia da cui cavare il film, che ha ben chiare le idee con le quali animarla: si ha l'impressione, vedendo questo film, di ammirare un fiume in piena che non tracima ma scorre torrenziale verso la foce. I due protagonisti, Roosevelt e Mulay Achmed Raisuli, idealisti, magnanimi, audaci hanno uno spessore mitologico e insieme sono uomini in carne e ossa. Questa è un'altra genialata. Chi sa un pò di cinema si divertirà a indovinare le citazioni ("Il Mucchio Selvaggio" su tutti), chi no, si goda la vicenda, semplicemente, l'effetto è lo stesso. Culmine della fantasia di Milius e epilogo e apice emotivo del film, trascrivo il telegramma che Raisuli spedisce al presidente Roosevelt a conflitto finito:
"A Teodoro Roosevelt.
Tu sei come il vento e io come il leone. Tu crei la tempesta, la sabbia punge i miei occhi e la terra è arsa. Io ruggisco e ti sfido, ma tu non mi senti. Però fra noi c'è una grande differenza: io come il leone devo rimanere nel mio posto; tu come il vento non sai mai quale sia il tuo posto.
Mulay Achmed Mohammed Er Raisuli, il Magnifico, Signore del Rif, Sultano dei Berberi."
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