Fuori diluvia. Un seno nudo, un giovine capezzolo offre latte materno alla bocca di uno sconosciuto prossimo alla morte a causa degli stenti patiti. E’ un gesto enorme per lei che, solo poche ore addietro, ha perso tutto: una maniera sublime per fotografare la miseria della crisi e la solidarietà smisurata che spesso ne consegue. Così termina "Furore" di John Steinbeck.
In questo particolare momento storico ho voluto destare dal torpore un libro che da troppo tempo dormiva placido sul mio scaffale di casa. Volevo leggere solamente qualche passo, quelli che avevo sottolineato negli anni, ma ben presto mi sono trovato a percorrere la Route 66 con la famiglia Joad. Vengo quindi invitato a prendere posto in un autocarro rattoppato nonostante fossi convinto di scendere ad una decina di pagine di distanza, non di più. Mi faccio largo su di un materasso lercio tra la schiena di una monella ed i vecchi piedi di una signora silente. Comincio a leggere di una guerra quotidiana contro la benzina, i copertoni sfasciati, i radiatori fumanti, la carne, le patate e poi ci sono loro, i dollari. Quella maledetta filigrana del cazzo.
Fomentare la diseguaglianza, speculare sulla situazione disperata che spinge centinaia di migliaia di persone a lasciare la casa natale ed accettare qualsiasi condizione retributiva. Aumentare quindi, ben oltre l’usura e l’infamia, i prezzi di ciò che è richiesto maggiormente: auto da 20 dollari vengono infarcite di segatura e rattoppi e vendute a 100. Godere quasi violentemente della situazione di forza perché è proprio nella crisi che si fanno i veri soldi, quando si possono tenere per i testicoli famiglie affamate che nulla possono se non unirsi nella miseria o nella lotta. Le pagine scorrono e dall’autocarro si vedono finalmente gli aranceti splendenti della California; lo scorbuto imperversa, ma quei frutti sono immangiabili e non si possono cogliere perché sono stati volutamente imbrattati con del petrolio. La povertà, infatti, si deve mantenere. Ettari di terra fertile incolta, cibo che viene lasciato cadere per terra. Spazzati dall' Est dalla saggina del mondo (una macchina agricola che ha reso obsoleta e impraticabile la mezzadria), questi Okies vengono infine accolti a bastonate ed insulti dalle popolazioni locali dell’Ovest che vedono minacciato il loro stile di vita: questi pezzenti, infatti, sono così affamati che faranno abbassare i salari.
Non credo sia possibile leggere e non sentire montare, in un crescendo implacabile, la rabbia. E’ probabile che una volta sbarcati in California i vostri pugni cominceranno a serrarsi, le nocche si sbiancheranno e che sarà necessario fare due passi prima di poter proseguire nella lettura. Non perché la prosa di Steinbeck sia ostica, tutt’altro, ma solo perché quel muro di inchiostro che vi troverete dinnanzi diverrà insostenibile a meno che non siate robot o persone dotate di una pinna sul dorso della schiena. Che titolo azzeccato, "Furore".
E’ un sentimento spesso represso, covato nella miseria più totale dei protagonisti della storia, e che solo per brevi tratti riesce a palesarsi con fiammate violente. Con eccezionale violenza e velocità su questo fuoco abbozzato viene posta una coperta: chi è in posizione di forza si sente assediato da una massa potenzialmente letale per il mantimento di un immeritato, quanto smisurato, benessere. E’ una scrittura asciutta, scevra di retorica, che riesce a commuovere con nude descrizioni capaci di contrapporre gesti inumani e stenti a generosità totale, quasi folle.
Rileggo e per quanto mi impegni non credo di aver reso l’idea. Me ne fotto: il mio fine mica era quello di recensire e giudicare un capolavoro, bensì invogliare qualcuno a prendere in mano per la prima volta questo tomo assai attuale e dalla potenza devastante.
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