Faceva di tutto per sembrare stupido: forse pensava che in questa maniera nessuno gli avrebbe più rotto le scatole con il legnetto da recuperare, la zampa da dare, le palline da tennis da prendere al volo ed altre cazzate. Era nato vecchio e a lui piaceva per lo più starsene sdraiato al sole, dormire, svuotare le valvole per 3-4 giorni all‘anno e poco altro. Tuttavia aveva fatto male i suoi calcoli; io e mio fratello lo abbiamo consumato e quando se ne è andato ci ha fatto una faccia come per dire “vaffanculo stronzi, ora vado a dormire per davvero“. In definitiva era buono e docile eppure quel figlio di puttana un morso me l’ha pure mollato. Io, alto non più di una manciata d’anni, a guardare il sangue zampillare allegro mentre accarezzo con forza il suo culo peloso con il mio piede sinistro.
Per un animale il cibo è il fine ultimo della sua esistenza. Che poi ai nostri cani domestici questo arrivi scaldato, impachettato in lattine di marca e pure poggiato su una ciotola pulita è secondario. Mica si fa tante menate filosofiche un cane. Non il mio quantomeno. E se un bambino con tenerezza lo accarezza; beh, potrà anche essere il quadrupede più mansueto, docile, carino...
Il fine ultimo di un popolo è un po’ più nobile ed alto e si chiama libertà. La sua importanza si palesa in toto solo quando viene meno e più la privazione è improvvisa e netta più la reazione che ne conseguirà sarà forte. Guerra.
Inizialmente sembrava proprio un bel quadro. Un paese nel quale, una volta zittiti i fucili, non sarebbe poi stato così brutto vivere e mettere su famiglia con una grassa fattoria da accudire. E’ quello che pensano un paio di graduati nel mezzo della seconda guerra mondiale dopo aver preso possesso dell’abitato con solo qualche lieve scaramuccia costata 6 vite per chi ha tentato, osato, un’inutile resistenza. Mitragliatrici formidabili, quelle che ora si stanno raffreddando.
In un’indefinita Norvegia polare ci sono ora due autorità. Il colonnello nazista ed il sindaco. Il primo chiede al secondo collaborazione per mantenere l’ordine. Il graduato ha già vissuto questa situazione venti anni prima ed il ricordo che ne serba lo rende inquieto: anche allora c‘era la neve e la ritirata era stata frenetica. Colorata di rosso. Se la sente addosso sempre più vicina ed incalzante la rabbia silenziosa di gente dura e acre che aspetta un passo falso. Un’opportunità. Questo stato di cose lo consuma. Il manuale non fornisce istruzioni utili a tal proposito. I primi cenni di rivolta devono essere repressi nel sangue; così c’è scritto. E ogni rallentamento delle operazioni di raccolta del carbone, ogni segno di dissenso o sabotaggio fa suonare quotidianamente i fucili oramai. Rimbombano fino ai fiordi, divelgono ossa, scalfiscono e sporcano mura, ma il risultato non è che gettare legno stagionato su una fiamma oramai vivace e sufficientemente azzurra. Pare impossibile che non capiscano una cosa tanto semplice. Un bambino che soffia su un fuoco appena nato e che famelico si nutre di aria.
In quei dialoghi intensi tra colonnello e sindaco, in queste poche e compatte pagine di rara forza, tutta l’essenza guerra per un libro duro. Fosse legno sarebbe ulivo vecchio di secoli. E tutti quei nodi che lo rendono praticamente immune al tempo altro non sono che lo stile secco ed asciutto di Steinbeck. Una scrittura lineare e priva di retorica, proprio ideale mentre osservo, tra una pagina e l'altra, scendere la prima neve di questo lungo inverno.
The Moon Is Down.
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