Se dico Stoner è probabile che alla maggior parte degli utenti amanti di sport come me verrà in mente una Ducati impegnata in una piega a quasi 60° mentre scalcia in uscita di curva come un cavallo imbizzarrito. Devo ammettere che i disastrosi anni di Rossi in rosso mi hanno fatto apprezzare ancora di più il talento purissimo del giovane centauro australiano: l'unico capace di domare una bestia selvaggia con sì poco controllo. Ma non voglio parlare di Casey Stoner, bensì di John Williams. Autore statunitense morto da due decadi e che, in questi ultimi anni, è stato dissotterrato anche in Italia e portato al successo editoriale proprio con "Stoner" pubblicato da Fazi Editore. La sua opera più famosa, (ne ha scritte solamente quattro), scritta nel 1965, che ha come protagonista un tristissimo professore universitario è di una durezza e malinconia devastante molto ben resa da una prosa scorrevole ed asciutta. Un lavoro che mi è piaciuto molto ma che non ho voglia di recensire per passare invece al minore e, a mio parere ingiustamente sottovalutato, "Butcher's Crossing" (1960).

Andrews è un giovane studente di Boston che si dirige in una sperduta cittadina occidentale con una cospicua somma ricevuta in eredità per andare alla ricerca di avventura e di natura; tutto ciò che non aveva mai potuto provare nella sua vita universitaria cittadina. È un ragazzo silenzioso e riservato, ma avido di conoscenza e deciso a portare a termine un successo personale. Nello specifico con l'esorbitante somma a disposizione si affiderà ad un esperto cacciatore, Miller il suo nome, per imbandire una monumentale caccia al bisonte assieme ad uno scuoiatore esperto e ad un vecchio senza un braccio nei panni del cuoco tuttofare. Le pelli invernali di questi mastodontici e possenti animali nel 1870 sono ancora "alla moda" e particolarmente costose perché ormai le grandi mandrie sono state quasi tutte massacrate. Sul finire dell'estate i quattro partiranno verso il Colorado dove Miller anni addietro, in un posto remoto ed incontaminato, avevo visto una mandria enorme.

Il libro gode di una prosa scorrevole per una trama molto semplice e lineare. L'opera è pregna di tante descrizioni naturalistiche di primissimo livello, (nel caso di una trasposizione cinematografica la fotografia dovrà avere una grande importanza), e l'autore talvolta si affida alla minuziosa fotografia di minimi particolari che non risultano mai essere eccessivamente boriosi o gratuiti. Mi vengono in mente le primissime pagine del libro capaci di proiettarci immediatamente nell'ambientazione sporca, rude e polverosa del West. La caccia di Andrews e Miller non deve essere intesa dal lettore come un mero tentativo di guadagnare del denaro ma come un ultimo disperato di tentativo di dare un senso alle proprie esistenze con un'esperienza unica. Perché nel 1870 tutto sta per cambiare, per cedere il passo all'età moderna; cacce come quella che i due imbandiranno in fretta e furia per battere in volata l'inverno non saranno ripetibili nel futuro.

Miller nel prosieguo del libro diventerà come una sorta di capitano Achab; totalmente cieco nella bestiale esaltazione, troppo preso dalla lotta e dal tentativo assurdo di voler sterminare da solo ogni singolo capo di una mandria di oltre cinquemila bisonti. Il giovane Andrews assisterà impassibile al succedersi degli eventi che gli sfuggiranno di mano; in maniera intima godrà silenziosamente di ambientazioni, paesaggi e modi di vivere così lontani da quelli cittadini che lo induriranno progressivamente e gli faranno terminare bruscamente il passaggio da giovinezza ad età adulta in una manciata di settimane.

Al ritorno da questa lunga avventura tutto sarà irrimediabilmente cambiato. I protagonisti della storia, il mondo stesso per un classico romanzo di formazione che è scritto talmente bene che si legge quasi da solo. E anche se è molto diverso da "Stoner" ve lo consiglio.  

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