La Divina Commedia Di John Zorn: Inferno. 

Parlare di John Zorn è impossibile. O almeno, difficile farlo senza associarne aggettivi come "geniale", "folle", "malato", "schizzato", "creativo" e via dicendo. Difficile è anche cercare di tradurre in parole cosa i suoi dischi esprimano in suoni in modo tanto spontaneo e leggiadro.
Fatto sta che sto recuperando gran parte della discografia di questo geniale (ecco, umpf, ci sono cascato) sassofonsita folle (DI NUOVO!) e l'ascolto di "IAO" mi ha lasciato inebetito.
Per quanto mi riguarda, siamo di fronte ad uno dei capitoli più alti della sua carriera sola, ma non ne sono poi così certo, costellata com'è da una produzione pressocché infinita di opere (è positivo: fino alla fine dei miei giorni avrò dischi di Zorn da scoprire. Sono felice) a volte imperdibili, altre volte piacevoli e altre ancora decisamente prescindibili. Non manca mai, però, il fascino. Ogni disco di Zorn, anche il meno attraente è sempre ispirato e motivo di interesse.
Qui risiede la sua genialità: capacità di eccletismo allo stato puro, dando il meglio di sé sia nell'estremo (il mio Zorn preferito in toto, quello dei Naked City, dei Painkiller, di "Six Litanies For Heligobalus") che nella dolcezza (il piacevolissimo, cristallino "The Goddess: Music For The Ancinet Days).

Eccletismo che si riscontra in questo "IAO", l'inferno musicato. Un disco eterogeneo, ma incredibilmente coeso. Un'opera dove le varie anime di Zorn si incontrano per formare qualcosa in grado di spaziare da una cavalcata tribal (bellissima) di tredici minuti che prende il nome di "Sex Magick" al dark-ambient con scroscio noise della meravigliosa apertura di "Invocation".

Ogni pezzo è un mondo a sé, un girone a sé, una sensazione a sé. Più si procede e più si scende, scoprendo come il cuore della bestia pulsi inarrestabile e con grande violenza. Si scoprono i due apici del disco, capolavori: in primis "Lucifer Rising", un angelico coro di cherubini che attornia un luciferino orgasmo femminile paradossalmente cullante e, soprattutto, "Leviathan", la strepitante violenza sonora spaccatimpani che è qualcosa di imperdibile, in grado di tornare ai momenti migliori dei Naked City.  

Noise? Avant-garde? Metal? Drone-Doom? Ambient? Classica? C'è persino un pezzo di elettronica glitch ("Clavicle Of Solomon")!

Se per altri dischi (seppur folli) di Zorn era semplice trovare un genere di riferimento, una sorta di fil rouge sonoro, qui è quasi impossibile. Il miracolo sta nel flow tematico, nel modo in cui questi pezzi vengono fatti coesistere in modo così superbo da lasciare inebetiti.
Ogni pezzo, dicevamo, è un girone a sé, ma l'album è l'inferno in toto che li contiene e ti fa scendere sempre di più fino a trovare il demonio in persona

Non pensavo che essere condannati fosse così piacevole. 
Sono tornato nel limbo giusto per dirvelo. 

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