La Divina Commedia Di John Zorn: Il Purgatorio

Tempo fa vi recensii due dischi contrapposti all'interno della sterminata discografia Zorniana, associandoli ai due antipodi della Divina Commedia dantesca: Inferno ("IAO") e Paradiso ("At The Gates Of Paradise").
Eccoci arrivati, dunque, alla conclusione della mia ipotetica trilogia dell'aldilà ad opera del sassofonista più schizzato e prolifico del mondo.

Come molti di voi sapranno, Zorn non è un musicista convenzionale: non si rinchiude in un solo genere e non è certo alla portata di tutti. Passa dal grindcore schizofrenico al jazz più convenzionale, passando per il folk giapponese, la lirica, la musica tradizionale ebraica, l'exotica, il noise più crudo, il metal d'avanguardia, i bozzetti da musica da sala d'aspetto e la musica sacra. 
Dietro i suoi deliri più noti, però, Zorn ha tracciato anche un solido percorso nella classica contemporanea e nella musica da camera, rilasciando dischi da lui composti e, a volte, lasciati suonare a musicisti classici professionisti. Si passa da sviolinate d'avanguardia (il recente "Lemma", "From Silence To Sorcery") a veri e propri giardini sonori di rara bellezza ("The Goddess").

Se mai vorreste avventurarvi nel paesaggio classico di Zorn, non si deve far altro che introdursi in questo purgatorio: "Madness, Love And Mysticism", a mio parere il suo più riuscito su questo versante. Mai troppo intellettuale e freddo, molto coinvolgente e, soprattutto, bellissimo e di una carnalità rara per il genere.

Con tre musicisti attorno al suo cospetto (Jennifer Choi al violino, Stephen Drury al pianoforte e Erik Friedlander al violoncello), Zorn genera tre lunghe composizioni ("Le Momo", "Untitled", "Amour Fou") che, con i loro sbalzi d'umore improvvisi, sembrano confermare la potenza chiarificatrice del titolo.
Potenza riscontrabile anche nella straordinaria copertina, un frame del bunueliano "L'Age D'Or", un film che più di tutti sintetizza - con un impatto animalesco ed elegante insieme-  amore, morte, repressione e desiderio sessuale.

Purgatorio, dicevamo. 
Purgatorio perché in quest'opera si accompagnano, proprio come nel film di Bunuel, emozioni placide e serene (l'amore) in contrasto con improvvisi deliri sonici che sanno di isteria e collasso nervoso. Tra la carezza e la copula selvaggia nel fango, le tre composizioni scorrono riuscendo a colpire nell'immaginario, a trascinarci in abissi di incomprensione e di inaspettata bellezza ipnotica.
Difficile spiegare nel concreto come suoni (così com'è difficile farlo per tutti i dischi del musicista in questione), quanto semplice è chiudere gli occhi e lasciarsi trasportare in un limbo di amanti in crisi d'amore, perché questo - pur senza testi sdolcinati - è uno straordinario disco d'amore.
Un disco diviso tra sussurri all'orecchio e dita amputate a morsi, tra baci sul collo e dichiarazioni urlate in preda alle lacrime.

Una strizzatina d'occhio al maestro Cage e tanto, tantissimo pathos in un disco triste, dolce e omicida, dove irrompe con furore un'inspiegabile carica erotica. 

Carne che trema, che sussulta sotto baci rubati ad una disperazione senza possibilità di sfogo.

Assolutamente imperdibile. 

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