E' inutile nasconderlo. Si dice tanto qua e là, ma alla fine nessuno è un fenomeno: John Zorn è un artista particolarmente difficile da ascoltare. Persino i più fedeli devono ammettere che certi dischi, almeno 5 o 6 del suddetto, sono quasi inascoltabili. Completamente ermetici. E' difficile trovare una scintilla d'emozione in dischi freddi quali sono i primi "Pool", "Locus Solus" e compagnia bella. Poi altri non facili subito, dove i suoni vengono accennati appena, e per sentirli chiaramente bisogna tenere a volume massimo (finché non arriva lo sprazzo inaspettato e la vostra stanza esplode sotto la potenza delle onde sonore).

Insomma, nonostante sia tutto molto avvincente, il vecchio John bisogna saperselo scegliere.

Perciò, se la vostra esperienza è stata attraversata da alcune delusioni, o album un po' troppo deboli per le vostre orecchie grossolane, vi ci vuole una scarica di creatività pura, senza quegli infiniti silenzi e le percussioni appena udibili dal vostro cane. "Xu Feng", diciamocelo, è un disco che sa risollevarci il morale, perché è potente: un'opera vigorosa, estremamente creativa e puramente "avantgarde".

Anche se è stato catalogato fra le "Game Pieces", non si può dire che esso richieda un'attenzione pari a "Lacrosse" o altri simili. Anzi, è proprio l'esatto contrario. Energico, fino a diventare divertente. E' adrenalina, velocità e, ripeto, creatività geniale.

Il disco vanta la partecipazione di musicisti dotatissimi, quali il fedele Fred Frith alla chitarra, Dave Lombardo alla batteria e, alle fantastiche percussioni, William Winant. Zorn, come in tantissimi altre sue composizioni, non figura tra gli esecutori, ma la sua presenza "dietro le quinte" è fin troppo semplice da avvertire. Nessuno avrebbe potuto fare una cosa del genere se non lui.

Potrebbe essere vista come pecca la durata, che raggiunge quasi 75 minuti, ma l'estrema ondata di coinvolgimento che porta con sé, credetemi, dirada ogni lungaggine. Forse il pezzo meno riuscito è quello centrale, "The Beauty of Yang Hui-Chen", che ha quasi echi Crimsoniani, ma che disperde il suono iniziale. Se siete però abituati alle opere di John, vi risulterà senza dubbio godibile, anche se in misura minore. Nonostante questo, i primi 5 brani lasciano senza fiato, uno dopo l'altro, e riprendono il ritmo giusto dal settimo in poi, fra alti e bassi. Insomma, roba che un 5 se lo merita senza dubbio alcuno.

Il titolo è piuttosto azzeccato, poiché il sound ricorda vagamente la musica avanguardistica orientale (Koenji Hyakkei, o persino lo zeuhl degli Happy Family), ma come se fosse giustamente riportata in occidente. Una contaminazione di portata stratosferica, un elogio alla "diversità musicale" che Zorn ha sempre difeso, grazie anche alla sua casa discografica Tzadik. Oltre ad un'ulteriore conferma del suo innominabile talento.

Lo cercavo. L'ho trovato. Finalmente. Semplicemente imperdibile.

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