AMERICAN V: A HUNDRED HIGHWAYS
ovvero "Poetica della solitudine"

Johnny Cash.
Johnny Cash e la sua voce.
Johnny Cash e la sua chitarra.
Johnny Cash e le sue canzoni.
Che anche se non sono sue, sono sue comunque.

Questo è quello che rimarrà alla fine? Rimarrà una manciata di riflessioni amare, rimarrà questa malinconia biascicata, rimarranno questi ricami di pianoforte, questi arpeggi, il violino accennato, l'organo sfiorato? Sì, e non solo: rimarrà l'eco delle risate dei carcerati a Folsom, il suo modo di tenere la chitarra e muoversi davanti al microfono, la sua voce oscura intrecciata a quella cristallina di June Carter. Resteranno quei ritmi indiavolati e precisi come il tuono, resterà il soffice duetto con Bob Dylan, resteranno tutti gli assassini, gli innamorati, i rednecks disperati e condannati. Resterà quel ricordo del vecchio West, come in "Il mio nome è nessuno".

L'uomo in nero... ascoltando questo centinaio di autostrade preferisco pensare ad un uomo stanco, amareggiato. Un uomo troppo solo, da alcuni mesi. La rabbia è svanita, anche l'angoscia, il vestito nero è in un cassetto coperto dalla polvere. Forse il passato ha abbandonato del tutto questo signore? Oppure è sempre terribilmente vicino? E' come un fantasma, che vedi con la coda dell'occhio, e quando ti giri non c'è più?

Non pensate di ascoltare qualcosa di assolutamente nuovo. Quando vi avvicinate a un'opera di Cash sapete che si tratta di epica: le formule si ripetono implacabili, magari non sempre convincenti. Epica dell'antieroe, tipicamente novecentesca! Tecnicamente il disco non è supremo e vario come il precedente, non è un maestoso testamento artistico. Che doveva essere l'ultimo però Cash lo sapeva, e forse per questo imbocca definitivamente la strada dello svuotamento. Abbandona del tutto i tratteggi sontuosi che contraddistinguevano alcune ballate di "The Man Comes Around". Lascia che le cover scorrano sotto le sue dita, asciuga gli arrangiamenti; il ritmo, anche il più inesorabile, come in "Like the 309" (ultimo brano scritto dall'artista) e nella sporca "God's Gonna Cut You Down", rallenta, perdendo un po' l'incisività di altri lavori con Rubin.
Ma non sono qui per parlare di pregi tecnici, innovazioni, o altre questioni inutilmente musicali. Non è questo il punto, e il cantore americano ce lo suggerisce concentrandosi sull'uomo, sulla sua debolezza. Fino all'osso dell'autobiografia, concessioni sincere e fragili. Poetica della solitudine. In "Further Up On The Road" lo immagino seduto davanti alla finestra, guarda fuori, è un giorno di sole. "Rose of my Heart": si volta, guarda una foto della moglie. Il volto solcato. Antica e fedele saggezza. "I Came To Believe". Una preghiera con la voce impastata. Inutili medicine sul comodino. "On The Evening Train". Si sdraia sul letto, le coperte sono bianche. C'è una metà troppo vuota. Il treno della sera fischia appena fuori dalla stazione di Nashville. Le palpebre si abbassano lentamente. Vaga serenità. "A Legend In My Time". "Se la solitudine significasse fama mondiale, allora tutti saprebbero il mio nome. Sarei una leggenda della mia epoca".

Un epoca irrevocabilmente finita: quella di Johnny Cash, delle sue polverose memorie, della sua chitarra, delle sue canzoni, del suo modo di avvicinarsi al microfono, della sua voce.

"If you could read my mind, love,
What a tale my thoughts could tell.
Just like an old time movie,
'Bout a ghost from a wishing well.
In a castle dark or a fortress strong,
With chains upon my feet.
You know that ghost is me.
And I will never be set free
As long as I'm a ghost that you can't see."
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