Uh-oh! Ci fanno notare che questa recensione compare anche (tutta o in parte) su wikipedia.org
"Ho sparato ad uomo a Reno, semplicemente per vederlo morire"
J. Cash
C'è tutta l'irriverenza e la caparbietà del cantore dell'America più disadattata e ostile, in questa doppia raccolta appena uscita ad opera di un ex-detenuto che visse sulla propria pelle le cose che avrebbe cantato. Johnny Cash, infatti, fu il primo a decidere di fare dei concerti nelle carceri, e di inciderli anche.
38 anni fa (!!) infatti Johnny andò a cantare in due delle carceri più pericolose degli Stati Uniti, uno dei quali lo aveva accolto per fatti di micro-criminalità.
Ne uscirono due tra i più sorprendenti album dal vivo mai realizzati soprattutto considerando il 1968 e la conseguente "rivoluzione sociale" in pieno divenire.
Versi duri, diretti e taglienti che danno una chiara idea del personaggio Cash, detto "man in black" per la sua attinenza al pessimismo e al suo look sempre oscuro e impenetrabile. Johnny è un uomo che si sente perseguitato, pieno di rimorsi, che combatte con i demoni, e sembra che in questo scontro siano questi demoni a vincere la maggior parte delle volte. Cash non parla mai della violenza a cuor leggero. Deve sempre convivere con il rimorso di quello che ha fatto e non riesce mai a liberarsene. Un fattore e una prospettiva che lo accomuna agli altri prigionieri qui riuniti ad esaltare Cash perchè lo sentono "uno di loro".
La versatilità nell'interpretare ballate, gospel, blues, country e rockabilly e l'incisività delle sue composizioni ispirate alla vita e al lavoro quotidiano, fanno di Johnny Cash un vero e proprio punto di congiunzione tra la tradizione, il country moderno e il rock commerciale, e dunque un vero e proprio simbolo che sapeva smuovere con le sue canzoni la coscienza tormentata dell'americano medio.
Il 13 gennaio 1968 dunque, davanti ad un pubblico di duemila detenuti, sorvegliati naturalmente da guardie armate fino ai denti non proprio felici di questo concerto, Cash dette vita ad un'esibizione folgorante, una delle migliori della sua carriera, che fu immortalata proprio con "At Folsom Prison", rimasterizzato adesso con diversi brani aggiunti. E' suggestivo, ad esempio, sentire il boato del pubblico dei galeotti quando dopo le presentazioni di rito il nostro dà il via allo spettacolo proprio con "Folsom Prison Blues".
Alla fine dello spettacolo interpreta un brano composto da tale Glen Sherley, detenuto proprio a Folsom, "Greystone Chapel". Johnny non andò solo ma si fece accompagnare da tutto quanto il suo entourage: il produttore Bob Johnston, la sua giovane moglie June Carter, i fratelli Luther & Carl Perkins alle chitarre, Marshall Grant al basso e W.S. Holland alla batteria. Insieme a costoro non si devono dimenticare gli Statler Brothers e la Carter Family che fornivano le basi vocali.
Insomma un bel gruppo di tutto rispetto per un concerto di beneficenza in un carcere di massima sicurezza!
Un anno dopo Johnny ci riprovò. E fu un altro successo immortalato nel 2° disco "At San Quentin": un carcere ancor più tristemente famoso come il più duro della California e fra i più tosti di tutti gli States.
Anche qui la parte del leone la fecero tre brani diventati storici come "San Quentin" composta per l'occasione, "Wanted Man" ("ricercato") che ovviamente riscosse un successo clamoroso tra i 2000 spettatori (con grande imbarazzo delle guardie impagnate a sedare gli animi). La terza era "A Boy Named Sue", una delle prime canzoni che affrontava l'argomento omosessualità senza troppi giri di parole.
Insomma, un doppio disco da molti considerato il suo doppio-capolavoro, in un cofanetto ricco di notizie e curiosità per un'opera coraggiosa e "solitaria": come la vita e la leggenda che gravita attorno a questo personaggio schivo ma verace, morto dopo diverse peripezie nel 2003 a 71 anni, le cui gesta sono narrate nel film "Walk The Line" in programmazione nei cinema, in questi giorni.
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