Ci sono persone - è vero - che non possono vedere i film in bianco e nero. Vecchi capolavori della cinematografia horror in cui la musica prende toni esageratamente acuti e striduli coprendo la voce, e coprendo l'azione. Così. All'improvviso. Film come "La Notte Dei Morti Viventi" per esempio, che vengono bollati come "un bianco e nero noioso" per colpa del maledetto audio.
Ebbene per colpa di queste persone mi sono imbattuto, ieri sera, in questo film. Un "per colpa", il mio, che non contiene in sé riferimenti personali al gender culturale incarnato e generalizzato in queste persone, e che non costituisce un atto d'accusa. Il mio "per colpa" è solo la smorfia di quegli eventi casuali e fatali che condizionano il grande meccanismo della vita, spostando ipotetiche leve che deviano ipotetici binari. Il treno dell'esistenza è un treno che non si può fermare - non si può fermare - poiché alla sua guida non c'è nessuno - e percorre il binario all'infinito. L'intrico dei binari - che spesso sono gli stessi, altre volte conducono a scarpate, a salite, a discese, o nel bel mezzo del nulla - dicevo, l'intrico dei binari non ha mai fine. Ed è tuttavia importante - dannatamente importante, davvero - comprendere come questa corsa e questi percorsi, come gli stessi treni e gli stessi passeggeri e lo stesso paesaggio che questi ammirano dai finestrini siano frutto del caso più spudorato e forsennato. Ogni cosa accade insomma casualmente. Non solo. Ogni cosa è il riflesso del caso. Del puro caso. La sua naturale filiazione e incarnazione. L'immagine del caso è il mondo che abitiamo. La nostra vita. Le nostre azioni, su cui noi, fondamentalmente, non abbiamo controllo. Altre strade conducono verso altri mondi. Altre cose. Verso cose "diverse". Sempre senza un senso. Poiché tutto accade per caso. Anche quando ci ritroviamo in piedi in un bar a trangugiare e chiacchierare con persone casuali coltivando amicizie casuali in incontri avvenuti per caso. Il guaio però, è che il dvd de "Il Coraggioso" l?avevo portato io. Perché mi era stato prestato e non l'avevo ancora visto. Quindi forse non è nemmeno completamente colpa altrui quella che ho vissuto ieri e della cui esperienza mi accingo a narrare. Forse io stesso non ero altro che una pedina. Un segnalino di plastica gialla tenuto in balia della volontà glaciale di una coscienza sperimentatrice e sadica. Una creatura evanescente fatta di nebbia e di grigio, alta fino all'imperscrutabile. Ed io, come suo emissario casuale. Esecutore inconsapevole e assoldato al solo scopo di essere catapultato in una situazione già scritta, su cui io non potevo apporre alcun controllo o modifica o evento. Un percorso di vita temporaneo, senza obiettivi e senza un fine. Già deciso. E senza alcuno scopo a parte l'esserci.

Dieci secondi di eco su quest'ultima frase. Luci baluginanti. Colore.

Flashforward - siamo in una sala d'ospedale. Un uomo scuote un altro uomo che si teneva la testa tra le mani. Il secondo uomo sta piangendo. Il primo uomo è completamente stravolto.

Johnny, che diavolo ti ha preso cristo santo? Perché, mi chiedo – perché! – sprecare il tuo tempo, i tuoi soldi – i tuoi soldi Johnny! i tuoi fottuti soldi – nella creazione di un film del genere? Devi parlare Johhny, cazzo – devi parlare!! – [l’uomo scuote ferocemente il secondo prendendolo per le spalle e fissandolo con occhi allucinati] – c’è una cosa che devo dirti Johnny. Lo vuoi sapere eh? Johnny! Lo vuoi sapere cristo d’un dio? [Johnny si riprende per un momento dalla commozione confusa. In preda al disorientamento più totale e per una frazione di secondo incontra lo sguardo dell’uomo. La sua espressione si tramuta in quella di un individuo che ha appena visto il proprio doppio nel corpo di un’altro, consapevole che colui che ha di fronte non può essere lui] – Beh  allora Johnny, cazzo, io te lo dirò, e sarò chiaro e indolore, e voglio che tu apra bene quelle tue luride orecchie di merda, hai capito?? Mi senti maledetto? Mi stai ascoltando Johnny?? Jo-ooooo-hnny!!! [ma è troppo tardi. Johnny sta ormai cadendo e sprofondando dentro di sé. Dal suo punto di vista vediamo un cerchio, il suo campo visivo, una sagoma nera che si stringe sempre di più sulla persona che ha di fronte a decine e decine di metri d’altezza da lui e che diventa sempre più piccola. Sempre più piccola. Tutto intorno a lui è nero. Un nero che si chiude e che si addensa su ciò che è altro nero. E una voce, la voce dell’uomo, che si affievolisce a vista d’occhio ma che nonostante la caduta continua ad arrivare… sempre più debole… ai suoi orecchi] – Johnny!! Quello che dovevo dirti è questo: voglio che tu sappia che a me questo film ha fatto cagare!! Hai capito Johnny?? Mi ha fatto cagare!! Hai sentito?? Ca-ga-re!! E adesso portati nella tomba questo grido maledetto figlio di puttana!!

Buio. Tonfo sepolcrale. Silenzio. Dieci secondi di buio e silenzio con riverberi fino al niente assoluto, poi...

Biancore fastidioso e improvviso - lungo piano sequenza del sole. Riflessi ottici. Torpore generale.

Raphael è un indiano cochise che vive in una roulotte con la sua insopportabile famiglia all'interno di una sorta di luna park-discarica. Tutto è molto calmo, molto fermo. Non succede niente. I figli del nostro eroe - due bambini piccoli - dormono tutto il giorno. Sua moglie è sempre in casa a letto e non fa altro che guardare la televisione. Raphael ha bisogno di lavorare ma non per evadere da questa situazione penosa e stare il più possibile lontano dalla rompicoglioni, bensì per non far mancare loro niente. È preoccupato infatti. E si vede chiaramente come e quanto la sua maschera sia contrita in questa preoccupazione senza tempo e senza fine. Una paranoia che diventa ben presto la causa di una serie interminabile di eventi privi del benché minimo cazzo di senso. Torniamo all'accampamento degli indiani, nel luna-park. Perché tra poco una ditta di demolizioni farà giustamente sgomberare questo ammasso di lamiere e cartone e getterà i suoi abitanti in mezzo a una strada. Poi, prendiamo un attimo per respirare, perché di tempo ce n'è, visto che questo episodio ci verrà sbattuto in faccia soltanto negli ultimi 5 minuti del film. 5 su 120. L'espressione di Raphael almeno è sempre quella. E la storia si impone. Il nostro eroe è infatti uno che ci da giù pesante con l'alcol, nonostante lo vediamo sbronzarsi solo una volta, e che è stato dentro e fuori di galera svariate volte per rapine, furti e altre puttanate. Anche questo lo veniamo a sapere non da lui, ma da un tizio che gli sta sostanzialmente chiedendo se ha moglie e figli (e la diretta consecutio di due domande simili può portare a una sola conclusione in un film) perché gli sta per offrire un lavoro che - attenzione - Raphael stesso è andato a procacciarsi in una specie di ufficio-fabbrica.
L'uomo lo conduce nei sotterranei dell'edificio in un ambiente chiuso e pesante e dall'estetica figurale molto anni '80 (il film è del 1997), che ricorda vagamente certi ambienti in muratura di Hostel, con la differenza che qui ci troviamo di fronte nientemeno che a Marlon Brando, in sedia a rotelle e truccato veramente da cani, intento a suonare un?armonica a bocca. Il vecchio si esibisce in un monologo privo della benché minima ombra di senso nel quale spiega a Raphael (il Johnny Depp della regia) che i due sono uguali e che può offrirgli molti soldi. Tra una settimana insomma inizia il lavoro. Raphael ovviamente accetta, visto che l'unica cosa che gli viene chiesta è quella di farsi torturare come un animale e sopportare con coraggio l'avvicendarsi di una morte annunciata. Una morte voluta comunque, e direi a questo punto "interinale", visto che auto-procacciata dal protagonista stesso in una delle scene più riuscite di questo enorme mucchio di niente assoluto, ovvero quando il Nostro entra nell'ufficio-fabbrica con un foglietto stropicciato per cercare non soltanto un lavoro, ma "quel" lavoro.
In una specie di rappresentazione involontaria di una sorta di Adecco dispensatrice di morte. È chiaro che se fosse stato questo il senso della pellicola avrei valutato il film sotto un'altra ottica e gli avrei attribuito tutt'altra valutazione, ma ho paura - ho seriamente paura - che non fossero questi gli intenti.

Fatto sta che da qui in poi il nostro Johnny ha comunque una settimana di tempo e un malloppo di soldi gentilmente anticipati dal vecchio (una mazzetta di banconote da 20 dollari), con cui potrà fare dei regali a sua moglie, ai suoi figli e a tutto il villaggio allestendo una specie di festa della birra per monnezzari in quella corte dei miracoli burtoniano-felliniana che è il suo villaggio, in un tripudio di stili che spaziano tra il Tim Burton della scena del regalo notturno ai figli, all'anonimo U.S.A. road movie dei viaggi in autobus nel deserto, al romantico di lui che guarda moglie e figli addormentati, allo sdolcinato, al trascendentale, all'ironico, fino al rape and revenge e al lynchiano da quattro soldi, al carpenteriano da quattro soldi perché-ci-sono-le-musiche-carpenteriane, e nuovamente agli anni '80.

Il film si svolge sostanzialmente lungo l'ultima settimana di vita di questo personaggio inutile. Anni luce di puro niente che ammiriamo da spettatori sconcertati e che siamo costretti a percorrere con lui in un tripudio di niente sbandierato e assolutamente pretestuoso. Il niente dei suoi viaggi, del suo camminare tra i rottami nel deserto col figlio piccolo, del suo continuare a fare in continuazione la figura del fesso con la moglie mentre una musica insopportabile pseudo-orchestrale (una delle robe più banali e inutili mai sentite in un film e composta addirittura da Iggy Pop [!!!]) e che contribuisce all'assestamento del colpo di grazia definitivo ai nostri poveri maroni, fino all'inutile, obbrobrioso e a prova di lancio di oggetti pesanti contro lo schermo, finale aperto in cui la tanto desiderata morte del protagonista ci viene negata, quando Raphael prende semplicemente l'ascensore per il dungeon in muratura di prima, completamente rassegnato al suo impegno di auto-condanna "per salvare la sua famiglia", in quella che diventa, in una maniera del tutto inspiegabile e gratuita, la sua esecuzione.

Un'esecuzione sorretta da una storia ai limiti dell'esile e dell'improbabile, puntellata di scene incredibilmente inutili e sconnesse l'una dall'altra inserite al solo scopo di dare al film una compiutezza cinematografica formale totale (da notare a questo proposito il fatto di come il film contenga in sé praticamente tutte le scene tipiche necessarie alla confezione di un film dall'impianto narrativo classico americano degli anni '80-'90, a prescindere dal genere), ma prive di un qualsiasi straccio di motivazione o contenuto.

Film giudicato come tra i più bei film sugli indiani.
Film certamente sontuoso e costato altrettanto certamente un'altrettanta barca di soldi.
Film certamente curato e "completo" (per i motivi che spiegavo prima) da un punto di vista strettamente cinematografico e tecnico.
Ma anche film totalmente, assolutamente e inoppugnabilmente inutile, superfluo e infecondo.
Un gigantesco mucchio di nulla lungo 2 anni mentali.
Un vascello astrale riempito di merda, lanciato nello spazio alla velocità del suono e fatto esplodere quattordici centimetri prima di toccare il suolo di Giove ovvero: una cagata stellare.
Un...

Basta. Devo calmarmi.
Qualcuno è in debito con me.
Johnny. Hai un debito con me.
Ovunque tu sia ti troverò, prima o poi.
Non importa quando. Non importa come.
Prima o poi ti troverò, maledetto figlio di puttana e ti farò a pezzi.

Nessuno potrà mai restituirmi le 2 ore passate a vedere questo interminabile mucchio di escrementi.

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