A Morrissey sono bastati pochi mesi (esattamente sei dall’ultimo lavoro degli Smiths), per dare il via ad una carriera solista che, tra alti e bassi, declini e resurrezioni, è arrivata brillantemente ad oggi. Per Johnny Marr, invece, ci sono voluti diversi anni e diversi tentativi con progetti di varia natura (The The, Electronic, Healers, 7 Worlds Collide oltre alle collaborazioni con The Cribs e Modest Mouse), fino alla quadratura del cerchio con l’ottimo esordio solista di cinque anni fa.
Non pago della ritrovata libertà artistica, il buon vecchio Johnny si è chiuso subito in studio e già dopo un anno ha partorito un secondo lavoro in solitaria, leggermente meno ispirato e chiaramente figlio della fretta di avere conferme (nonostante una hit clamorosa come “Easy Money”). Possiamo quindi considerare questo nuovo “Call The Comet” il primo album di Marr realmente pensato e pieno di consapevolezza, visto che non si tratta certo di un esordio e stavolta sono passati ben quattro anni dalla prova precedente.
Consapevolezza che si sente tutta in queste undici tracce, chiaramente figlie di un progetto pensato e studiato fin nei minimi dettagli. Marr immagina un mondo che non è il nostro, in un futuro non molto lontano (a differenza di quello che fa l’ex compagno Morrissey, ovvero dipingere a modo sua la quotidianità) e disegna undici ispiratissimi affreschi che spaziano tra le atmosfere più disparate.
C’è il caro vecchio britpop, e in alcuni pezzi come l’opener “Rise”, “Hey Angel”, “Day In Day Out” e la conclusiva “A Different Gun” è cristallino come il sound della chitarra smithsiana sia stato il seme dell’intero movimento. Ci sono episodi più duri come il primo, spettacolare singolo “The Tracers” che gioca con il post punk ed ha in una frenetica partitura di batteria il proprio punto forte. C’è anche una divertita autocitazione nel secondo singolo “Hi Hello”, praticamente un reboot di “There Is A Light That Never Goes Out”.
Convincono appieno anche i pezzi che “osano” un pochettino di più; c’è il mantra elettrico dell’ipnotica “New Dominions”, i Depeche Mode più grezzi di “Actor Attractor” ed i Cure in versione aggiornata di “My Eternal”. Il piatto forte è però “Walk Into The Sea”, un’epopea psichedelica di sei minuti che fluisce fino a rompere gli argini in un muro di chitarre torrenziale.
Al terzo tentativo, Johnny Marr centra il disco migliore della sua fresca carriera solista, e rivendica il suo ruolo di “padre fondatore” di certo chitarrismo british così classico eppure così sempreverde. “Call The Comet” è un album sorprendentemente fresco ed ispirato per essere nato dalla mente di un navigato ultracinquantenne, per questo è ancora più sorprendente.
Miglior brano: “Walk Into The Sea”
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