Durante la veglia funebre, si potevano udire solo poche note. Forse riconoscibili, ma del tutto decontestualizzate, potevano essere qualsiasi cosa. Conoscevo bene la trentenne compostamente sdraiata nella cassa, con un leggero velo sul corpo e sul viso. Il velo, al suono di quelle note, ripetute in maniera ciclica, sembrava ondeggiare. In realtà l'aria proveniva da alcuni ventilatori, posizionati agli angoli della chiesina per mitigare la temperatura di quel torrido luglio. Oltre a smuovere un po' l'aria calda e appiccicosa, portavano anche i miasmi della salma, inesorabilmente in putrefazione, non copribili neppure dalla miriade di fiori, che parallelamente e precocemente marcivano al suo fianco. Ci si guardava in faccia, con gli occhi appannati dalle lacrime e dalle gocce di sudore che, dopo aver imperlato la fronte, scendevano sulle sopracciglia. E pareva strano che quella stupenda e ambita ragazza fosse sdraiata in attesa di essere seppellita. Il padre fece un cenno con il viso al signore delle onoranza funebri e, accompagnata da un urlo straziante della madre, la cassa si chiuse, per sempre.
Quando penso a lei, quelle note mi ritornano alla mente e, purtroppo, le accompagno sempre al momento narrato sopra. Quella era la sua canzone preferita e un amico comune, musicista, decise di suonarla con l'organo alla sua veglia, opportunamente arrangiata per non farsi riprendere da un prete notoriamente troppo bacchettone.
Melodia allo stato puro. Così ricca e coinvolgente, così mesta ed eterea, solenne nei suoi giri di accordi. Jon Anderson e Eyággelos Odysséas Papatanasíoy ben più noto come Vangelis, si incontrarono nel 1973 a Parigi quando Anderson, affascinato dai suoni del disco "L'Apocalypse des Animaux" volle andare a conoscere personalmente il musicista greco. Nel 1974, quando Rick Wakeman lasciò gli Yes, Anderson tentò di portarlo nella band, ma per problemi di varia natura non se ne fece nulla. Però iniziò una serie di collaborazioni, sfociate in quattro dischi, questo è il loro terzo e migliore, uscito nel 1983.
Nonostante i trascorsi dei due, non abbiamo un disco di poderoso e complesso progressive, anzi. Già dall'inizio e dai lavori precedenti la strada comune fu quella del pop, magari con variegature new age, ambient e sicuramente qualche tocco prog, più che altro nella ricercatezza delle sequenze melodiche e degli accordi. Anche "Horizon", la lunghissima suite che nel vinile copriva l'intera seconda facciata, non può essere accomunata alle solite scorribande progressive, ma semplicemente ad una lunga ricerca di soluzioni melodiche e ambientali concatenate forse più in maniera classicistica che prog.
La prima parte invece è formata da cinque canzoni dalla lunghezza variabile che fanno della melodia il loro vero punto di forza. Tra loro spicca la particolarità della opener "Italian Song", dotata di un testo con parole inventate, composto da Anderson e inserite nell'emozionale e creativa melodia. Poi c'è la canzone per eccellenza, quella tanto adorata dalla mia amica, "And When The Night Comes"... e non ho più niente da dire, arriva il sax di Dick Morrissey e l'anima si lacera.
Un disco molto delicato, femminile, dai tratti eterei, dondolanti e fluttuanti come veli, lievemente smossi da dolci e lontane brezze.
"I want you always"
Sioulette
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