Il curioso e fortunato progetto Jon and Vangelis prende forma sul finire degli anni Settanta in seguito a precedenti, sparse collaborazioni tra due abili musicisti: uno è il britannico Jon Anderson, cantante ormai svincolato dagli Yes e ansioso di sperimentare nuove vie musicali, l'altro è il greco Vangelis, che di sperimentazione si occupa da un pezzo, ma è da sempre aperto a collaborazioni con artisti di svariata provenienza.

L'esordio "Short Stories" viene dato alle stampe nel 1980 ed è subito un successo commerciale, forte della perfetta fusione tra la musica dolce ma accattivante di Vangelis e le angeliche doti canore di Anderson; la formula, tra l'altro, è semplice: il greco prepara la musica, il britannico, in seconda fase, completa i brani con le parti vocali. Questa metodologia, in apparenza fredda e meccanica, genera pezzi curati nei minimi dettagli, ma alquanto diversi tra loro.

L'intero disco si basa su uno sfondo di atmosfere sognanti ed angeliche, sul quale irrompono brusche e incalzanti virate elettroniche. La devastante e violenta colata di “Curious Electric” si contrappone alla dolcezza della successiva “Each and Everyday/Bird” , mentre “I Hear You Now” ha un motivo così accattivante da scalare le classifiche dell'epoca. “The Road”, “Far Away in Baghdad” e “Love Is/One More Time” anticipano in parte le sonorità future, mentre la breve “The Road” ha la funzione di precedere il brano finale (e migliore) dell'album, "A Play Within a Play”, capace di racchiuderne l'essenza per struttura ed alternanza tra movimento e quiete.

Come spesso capita nelle prime opere (e specialmente in progetti particolari come questo) si scorge la volontà di tenere aperte molte vie, cambiare spesso direzione, anche a scapito dell'unità d'intenti. Non a caso le opere successive, seppur di eguale qualità, indicano una via più coerente ed un filo espressivo più solido, come confermato dall'ottimo “The Friends of Mr Cairo” del 1981.

Infine, nel 1983, arriva la prova migliore del duo, “Private Collection”: Vangelis smussa ancora gli angoli e addolcisce le melodie, la voce di Anderson diventa quasi eterea. Cinque pezzi perfetti, più una lunga traccia finale, “Horizon”, così memorabile da meritare un posto di prim'ordine nella musica di quel decennio.

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