Un remake in live action di un classico d’animazione della Disney; detta così sembrava quasi impossibile la nuova sfida cinematografica del simpatico Jon Favreau. La bellezza favoleggiante di un cartone animato, uno di quelli storici per giunta, è sostanzialmente impossibile da replicare in un film girato con la macchina da presa. Che senso ha arrischiarsi su un crinale così delicato? A vedere Il libro della giungla tuttavia si capisce ben presto che il lavoro è stato realizzato in modo impeccabile, o quasi. Il film riesce infatti a costruire un equilibrio quasi miracoloso tra un realismo più spiccato (e necessario) e la dimensione favoleggiante e fantastica, che comunque non viene meno.

Favreau riesce quindi a formulare un linguaggio ibrido, che deve contemperare istante quasi antitetiche: il regista ritrae un mondo più realistico di quello del cartone, ma lo sa mantenere sui binari della narrazione fantastica, senza creare cortocircuiti stilistici. Gli animali sono quasi sempre credibili, ma non per questo quando parlano risultano ridicoli; le due spinte contrapposte si contemperano perfettamente, salvo alcuni casi in cui per necessità di trama compaiono elementi un po’ iperbolici. Mi riferisco ad esempio alle dimensioni mastodontiche di Re Louie, che con le sue membra distrugge muri di pietra; oppure all’incendio che Mowgli appicca inavvertitamente. Sono passaggi un po’ forzati rispetto al resto, che impediscono una perfetta simmetria tra realismo e favola. Anche le canzoni presenti si fondono un po’ a freddo con la struttura diegetica.

Va detto che un film del genere è possibile in primo luogo grazie alla tecnologia. Gli effetti di computer grafica sono sbalorditivi e animano quasi tutti i personaggi, essendoci in sostanza un solo attore, Neel Sethi che impersona Mowgli. Tante facce/musi realizzati in CGI, ma tutti meravigliosamente espressivi, dettagliati, pelosi; capaci di risultare credibili ma anche riconducibili a un immaginario fanciullesco. Questo equilibrio è merito del comparto artistico, ma anche di quello tecnico. Insomma, 175 milioni di dollari ben spesi.

Per il resto, la vicenda scorre bene e senza intoppi, salvo alcuni brevi momenti di stanca nella fase centrale. Prevale la capacità di Favreau di raccordare armonicamente le cose; il suo cinema dà una forte sensazione di cordialità, di eleganza leggera, senza sottolineature troppo enfatiche. Favreau mostra il bello del mondo naturale senza esasperarlo, racconta i contrasti tra la componente ferina e quella umana del protagonista Mowgli senza l’affanno di far emergere prepotentemente la morale della favola. Anche per questo Il libro della giungla convince; pur non focalizzandosi in modo esclusivo sulla questione morale ed esistenziale della storia, parimenti la snocciola con grande efficacia. Un film che segue l’andamento della grande peripezia, un’avventura semplice e dai meccanismi ben oliati, che funziona decisamente bene perché sa ricostruire lo stupore negli occhi di chi guarda. Ogni volta che Shere Khan viene inquadrata da vicino, ogni volta che arrivano gli elefanti, quando le scimmie rapiscono Mowgli: questo è cinema che sa stupire ed emozionare.

Una nota a parte sulla questione doppiaggio: non è affatto male quello in italiano, però l’elenco dei doppiatori originali fa davvero impressione: da Bill Murray a Scarlett Johansson, da Ben Kingsley a Idris Elba, con lo stesso sempre autoironico Favreau che dà la voce a un cinghiale nano.

3.5/5

Carico i commenti...  con calma