Jon Hopkins, musicista londinese classe 1979, prima d'ora l'avevo letto sempre affianco al mastodontico nome di sua maestà Brian Eno: nell'ultimo decennio il re dell'ambient music lo ha infatti scelto come proprio braccio destro, come una sorta di nuovo Daniel Lanois, e insieme hanno fatto uscire dischi che alla fine sono passati inosservati, quali Another Day On Earth e Small Craft On A Milk Sea (era al suo fianco pure insieme ai Coldplay, ma questa è un'altra storia).

Colpa del giovane e inesperto Hopkins oppure è Eno ad aver esaurito da tempo le cartucce migliori? Ascoltando Immunity, primo importante LP in cui Hopkins è finalmente solo, la risposta sembra proprio la seconda: egli non risente troppo dell'influenza di Brian Eno, e riesce a essere di gran lunga superiore rispetto ai dischi in cui figurava come co-produttore e co-autore.

Se proprio devo citare Eno, Immunity riprende un po' Small Craft On A Milk Sea e un po' l'ultimo Lux, ma il risultato complessivo, stavolta, è compatto e interessante: dalla prima all'ottava e ultima traccia il clima è costantemente freddo, metallico e notturno, ma per fortuna Hopkins riesce a produrre un lavoro discretamente vario e multiforme. Il producer londinese apre egregiamente le danze con We Disappear, un beat incessante e metallico, rumori stridenti sovrapposti a suoni notturni: potrebbe benissimo fare da manifesto all'intera opera, perché almeno la prima metà è su questa linea. Impressionante la potenza dei bassi in Open Eye Signal, che cede il passo a Breathe This Air e Collider, le tracce sicuramente più misteriose e sensuali del disco.

L'abilità di Hopkins è manifesta nella sua abilità di usare sapientemente pochi ingredienti, ed è proprio qui che si fa sentire la mano di Brian Eno: si avvicina al genere della cosiddetta Intelligence Dance Music, ma ne resta a debita distanza evitando di aggiungere troppi dettagli che caricherebbero inutilmente il risultato conclusivo.

Nel finale rallenta i tempi, cedendo verso una più tranquilla ambient/downtempo, meno interessante ma comunque ricca di godibili sfumature: Abandon Window, ad esempio, non sfigurerebbe affatto in mezzo ad un Ambient 2/The Plateaux Of Mirror. Dunque l'allievo supera il maestro? No di certo, con Immunity Hopkins non inventa nulla di nuovo, ma mescola sapientemente diverse influenze, dall'ambient alla dubstep e dal trip-hop all'IDM. In ogni caso Immunity, opera malinconica e della notte, brilla in tutta la sua modernità, acclamando Jon Hopkins in tutto il suo genio, finalmente autonomo.
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