In questo 2008, tra le varie novità discografiche più o meno attese, è uscito anche questo "Global Warning", ultimo lavoro dei "Pain" del grande (in tutti i sensi, ormai...) Jon Oliva.

Prima di analizzare il disco, occorre precisare una cosa: inutile illudersi, probabilmente i Savatage non torneranno mai più e il loro ultimo lavoro sarà forse destinato a rimanere quel "Poets and Madmen" uscito nel lontano 2001; questioni di impegni forse, con Jon che si barcamena tra i Pain e la Trans-Siberian Orchestra, il cantante Zak Stevens ormai completamente concentrato sui suoi Circle II Circle, il chitarrista Chris Caffery alle prese con la carriera solista... o forse più semplicemente questioni economiche.

Tutto perduto quindi? Non proprio, perché chi cerca il sound grezzo ma allo stesso tempo melodico dei vecchi Savatage, farebbe buona cosa nel dedicarsi all'ascolto di "Global Warning". Il prodotto infatti è quanto di più vicino al sound del combo floridiano si possa trovare, come dichiarato orgogliosamente dallo stesso Jon: non è un caso infatti che molte delle parti siano state scritte insieme al compianto fratello Criss negli anni '80, ai tempi in cui componevano i loro massimi capolavori.

In questo lavoro troviamo quindi tutte le anime che hanno accompagnato la metamorfosi dei Savatage durante la loro carriera: da pezzi più grezzi e puramente metal che rimandano agli esordi con "Sirens", agli interventi sinfonici dei tempi di "Dead Winter Dead", il tutto condito da un paio di lente ballate di ottima fattura, da qualche buon solido mid-tempo ( "Walk upon the Water") e anche da alcune ardite sperimentazioni (su tutte "Master", con suoni ovattati e voci effettate).

Ottima la prova dei componenti della band, in particolare del chitarrista Matt LaPorte, dotato di gusto e tecnica e che si dimostra ottimo esecutore sia di graffianti riff che di assoli ispirati e melodici, tanto da ricordare in alcuni frangenti Criss Oliva. Un plauso anche a Kevin Rothney al basso e a Christopher Kinder alla batteria, entrambi impegnati a sorreggere e dettare i ritmi delle varie canzoni, cosa che in alcuni frangenti non si dimostra impresa facile, a causa dei contini cambi di tempo e stacchi in puro stile progressive che caratterizzano alcuni pezzi, in particolare "The Ride", con la sua alternanza acustico-elettrica nelle strofe e nel ritornello. Su tutto, si staglia il lavoro al piano e soprattutto alla voce di Jon, tornata finalmente su alti livelli (nonostante anni di eccessi e sofferenze abbiano ovviamente inciso profondamente): è qui capace di passare da toni ruvidi, graffianti, quasi urlati a linee più dolci e melodiche, quasi commoventi nella loro interpretazione, come nella stupenda ballata "Firefly".

Insomma un ottimo lavoro, che non ha goduto del giusto risalto che indubbiamente merita. I fan dei Savatage troveranno tutto quello che desiderano e non potranno che tornare con la mente indietro nel tempo sentendo pezzi come "Stories" e "You Never Know", che sono rielaborazioni di pezzi scritti durante le sessioni di "Streets"; o ancora commuoversi sulle note della ballad "Open Your Eyes", drammatica e teatrale come non si sentiva dai tempi di "Believe"...

Un' ultima menzione per i testi, fortemente cinici, disillusi e critici verso la società, la tecnologia e il degrado che stanno colpendo il nostro mondo, riducendolo a un povero corpo malato e martoriato da guerre, malattie e indifferenza.

In definitiva, un album decisamente consigliato, sperando che non sia l'ultimo lavoro che Jon Oliva ci propone, perché è uno dei pochi personaggi nel mondo rock-metal ancora in grado di comunicare emozione munito solo della sua voce e di un pianoforte.

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