Quando scompare una cosa a noi cara, siamo soliti sostituirla con qualcosa di simile, che ci ricordi in parte le sembianze, le caratteristiche di ciò che abbiamo appena perso. E' un comportamento buffo, strano, alcuni lo definiscono ossessivo. Di esempi ce ne sono a migliaia, primi fra tutti i film. In quanti dopo aver finito di vedere un film, di qualunque genere esso sia, si domandano "Ehi, sarebbe bello se uscisse un sequel!" E uscito l'episodio successivo, ne pretendiamo un altro, e poi un altro ancora. Non riusciamo ad abbandonare l'idea di vedere quel qualcosa terminare, non vogliamo che ciò che ci ha fatto suscitare emozioni diverse e affetto, abbia una fine.
Nel campo musicale è più o meno la stessa cosa. Leggiamo la notizia di un gruppo che si è sciolto, e negli anni continumo a pensare a quando avverrà la reunion, o quando uno dei componenti inizierà una carriera solista. Nel primo caso, le reunion non sono quasi mai come le dipingono, ovvero una simpatica e tranquilla collaborazione fra i membri attuali, ed ex-membri del gruppo, per una collaborazione di qualche anno con lo scopo di far felici i fan. No, in quel caso non parliamo dei fan, ma della felicità del conto bancario. Nel secondo caso, un progetto solista è ciò che più si avvicina a una nostra speranza di sentire il sound tipico della band che eravamo soliti ascoltare. Certo, sarà impossibile ricreare quelle atmosfere che ci hanno fatto innamorare negli anni, ma sarà pur sempre qualcosa che si avvicina, e che riesce per un momento a fermare la nostra insaziabile voglia di ascoltare uscite che abbiano quei tratti, quelle particolarità musicali ormai passate.
Questo discorso si accosta perfettamente a una band come i Savatage, gruppo riconosciuto per il suo immenso talento, e per aver composto album fatti di una rara eleganza mista a potenza, spaziando fra un Heavy Metal più diretto (Hall Of The Mountain King), a veri e propri concept da lasciare senza fiato (Streets, The Wake Of Magellan, Dead Winter Dead). Inutile dire che la vera e propria anima di questo gruppo è, e sarà per sempre, Jon Oliva, il quale dopo lo scioglimento dei Savatage sulla fine del 2002 decise di dar vita al suo progetto solista, intitolato Jon Oliva's Pain, e che si andava ad accodare già ai già formati Circle II Circle, fondati da Zachary Stevens, e alla Trans Siberian Orchestra.
Dopo la pubblicazione del debut album "Tage 'Mahal" (2004), Jon Oliva non prende un attimo di respiro e fa uscire neanche dopo due anni "Maniacal Renderings" (2006). Va detto, prima di di analizzare le canzoni, che gran parte dei pezzi furono scritti da Jon assieme al compianto fratello Criss sugli inizi degli anni Novanta, poco prima della morte di quest'ultimo, nel '93. Con questo disco, i Jon Oliva's Pain puntavano sia a dare una maturazione definitiva allo stile musicale, e sia ad avere una maggiore attenzione discografica, e per questa ragione poco dopo la pubblicazione di "Tage 'Mahal", interruppero la collaborazione con la Steamhammer, e firmarono un contratto con la AFM Records, che diede a "Maniacal Renderings" sia una maggiore pubblicità che promozione.
Risuonano echi di vecchi pezzi dei Savatage, come è possibile sentire in "Through The Eyes Of The King", simile in tutto e per tutto alla Titletrack di "Hall of The Mountain King" (1987), come anche la veloce "Push It To The Limit" riprende il ritorrnello da "White Witch". Salta subito ad un primo ascolto, le influenze dei Savatage che Oliva riprende, sopratutto dai primi album di questi ultiimi. Riescono a spiccare come grandi canzoni invece "Who's Playing God?", che gioca su ritornelli melodici, e da strofe più accattivanti insieme a cori di rinforzo. E se il punto forte di Oliva è sempre stato il pianoforte, questo ha un ruolo essenziale in "The Evil Beside You" e "Time To Die", dove la voce potente e graffiante del leader (chi aveva detto che in "Poets And Madmen" (2001) la sua voce era scomparsa?) ha un ruolo primario. "The Answer", che per molti potrà essere solo la solita ed inutile ballad, rappresenta un pezzo assolutamente splendido, pieno di emozione e passione come pochi sanno fare, e Jon Oliva è sicuramente uno di questi. Risulta però leggermente scontata fin dall'inzio "Still I Pray For You Now", con la voce del leader accompagnata da una chitarra acustica, e che probabilmente è la canzone più debole di questo LP.
Un album più che sufficiente quindi, ma che presenta innumerevoli influenze dai Savatage, e che personalmente non trovo un punto a sfavore, ma finchè sono ben cammuffate. Quando invece sono messe a forza, come nei primi due pezzi che ho elencato, il risultato non è dei migliori. Fatta eccezione per ciò, quello che troviamo in "Maniacal Renderings" non è nè più e nè meno, di quello che potevamo chiedere al vecchio Jon. Esigere un capolavoro come quelli che i Savatage ci hanno consegnato negli anni sarebbe da stupidi, ma questo gruppo riesce nel suo intento, ovvero soddisfare un bel po' di nostalgici, inserendo talento, ed una classe smisurata. Dove tocca mano Jon Oliva, ne esce sempre qualcosa di buono.
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