È immensamente affascinante il concetto di Zona.
"Zona è la stanza scura del nostro desiderio rimosso" Geoff Dyer
La Zona è stata portata al cinema da Tarkovskij in Stalker, il viaggio verso il desiderio più recondito e inconfessabile, fatto però di paura, illusione, reticenza, domande senza risposta, irrisolvibili tormenti dell'animo e della Fede.
La Zona è un luogo delimitato entro cui cercare o edificare la propria esistenza ideale, lo spazio vitale che dopo la Prima Guerra Mondiale la Germania volle riconquistare a Est dopo la perdita dei territori dell'Impero.
Nell'arte, e nel cinema in particolare, tutto in qualche modo è stato detto, quindi è impossibile creare qualcosa di veramente nuovo, e ogni eventuale tentativo può portare a una originalità solo relativa e parziale.
Il cinema, d'altronde, da sempre attinge dalla letteratura, così come dalle altre arti (la pittura soprattutto), oltre che da se stesso.
Fatta questa premessa, La zona d'interesse, tratto dall'omonimo romanzo di Martin Amis - uno dei più grandi autori contemporanei, scomparso l'anno scorso -, all'interno del contesto dei film dedicati al periodo più oscuro del Novecento, ovvero quello dell'Olocausto, è tra i più interessanti e particolari in assoluto. Perché quello proposto è uno sguardo di confine, appena al di là dei cancelli e delle recinzioni di Auschwitz, come se la linea che separa l'interno dall'esterno fosse una zona di demarcazione netta tra il Male e la precisa, regolare e ordinata vita della Tradizione. L'ideale perfetto della visione nazionalsocialista, che veniva ad esempio incarnata nella famiglia Goebbels e in quella, e qui arriviamo al film, Höss.
La famiglia, i costumi, la vita al di fuori della corruzione cittadina, l'ideale del "contadino guerriero", colono agricoltore ligio agli ordini e alla gerarchia, un radicale antimodernismo: questi sono gli elementi ideologici che caratterizzarono l'esperienza del nazionalsocialismo, e che affascinarono il popolo germanico creando un sentimento quasi religioso nei confronti del regime; al di là dello spietato e sistematico razzismo antisemita e non solo.
Questi aspetti non sono però scollegati, bensì erano parte dell'intera struttura ideologica nazista e sono tutti fondamentali per capire la psicologia tedesca dell'epoca. Non esisteva quindi, in realtà, una zona di demarcazione. Era solo apparente.
La zona, così come il confine, è una fragile creazione umana. Ogni aspetto metafisico è infine da mettere da parte.
La più grande qualità di questo nuovo film di Jonathan Glazer, a oltre dieci anni dall'uscita di Under the skin, è proprio l'accuratezza estrema con cui viene descritta la psicologia e la vita privata del funzionario nazista ai tempi del regime hitleriano.
La banalità del Male è stata studiata da Hannah Arendt e La zona d'interesse è forse il film che più mostra questo concetto attraverso la rappresentazione per immagini.
Non è un caso che in un paio di occasioni venga citato Eichmann, il cui processo ha ispirato le riflessioni della Arendt.
Ci sono molti modi di rappresentare l'orrore e i film, i libri, i documentari sull'Olocausto sono a centinaia. Ne La zona d'interesse il genocidio è fuori campo e per questo ancora più disturbante, perché la normalità con cui viene discusso e attuato ricorda quanto fosse una questione tecnica e burocratica come un'altra. Una parte della routine, un aspetto della normalità.
Anche il più grande degli orrori aveva le sue strutture da tenere pulite ed efficienti, e soprattutto i suoi funzionari, talvolta di bianco vestiti, perché candidi erano interiormente convinti di essere. E difatti erano amorevoli con figli e mogli e amavano i loro cani, gatti e cavalli.
In Himmler, l'uomo per bene di Vanessa Lapa, film documentario che riprendeva lettere e filmati del Reich's Fuhrer, creatore delle SS e organizzatore dei campi di concentramento, già emergeva questa profonda, paradossale convinzione di agire ogni giorno per il bene, perfino da parte del peggiore tra tutti i criminali nazisti.
La zona d'interesse è un film che affascina e non offre un'esperienza banale. Fin dai primi minuti, interamente tinti di nero, come nella Genesi che precede l'alba dell'uomo in 2001: Odissea nello spazio. Oscurità che chiuderà anche il film al termine della sua circolare, ordinata, pulita e idilliaca parabola di vita famigliare e pianificazione di sterminio.
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