Cosa troviamo sotto la pelle?
Il film di Glazer viaggia lentamente e inesorabilmente sottotraccia attraverso molteplici canali sensoriali, nella profondità di una materia oscura che sommerge e scavalca l'umanità e la comune irrazionalità .
L'incipit del film è il parto di un punto di vista, una spirale che si allarga, delle forme a poco a poco + nitide, immagazzinando informazioni e vocaboli, alla fine ne emerge una pupilla definita …
La comunicazione aliena avviene senza parole, tramite sguardi … la graduale presa di coscienza di un identità va di pari passo all'approssimarsi di un contatto fisico, la protagonista a poco a poco si mette a nudo e non solo a livello di vestiario... al di là della riuscitissima scelta stilistica di inquadrare la realtà circostante e mostrarla in quanto tale attraverso lo sguardo alieno (in tutti i sensi) della protagonista, che per la prima ora di film riesce ad essere di mono - espressività proprio "soprannaturale" (anche + di Clint Estwood ) ... sfiorando con la telecamera nascosta le vite reali di sconosciuti quasi per caso: ai lati della strada, sulla corsia d'emergenza di una tangenziale, all'uscita dalle scuole, nella notte a camminare attraverso periferie ... di mischiare con frame sovrapposti tutti questi momenti anche a livello sonoro, aumenta esponenzialmente il flusso percettivo .. l'effetto apparentemente alienante in superficie, rivela con il passare dei minuti, un intimismo viscerale e solo vagamente antropomorfo …
Nel suo “lavoro” di ricerca vittime, la scelta della ragazza ricade su personaggi che vivono ai margini, un tipo di “scarto” sociale, con un fare metodico e ripetitivo estraniante, dove il dare attenzione è meramente strumentale e privo di un benché minimo trasporto emozionale... gesti semplicemente ripetuti, con sullo sfondo una catena multi sensoriale di sempre differenti percezioni... stupenda l'immagine del volto umano alieno di Scarlett stampato immutabile e fisso sullo specchietto del furgoncino mentre le luci della strada scorrono ai lati... Eppure una sorta di “curiosità” sembra permeare la mente aliena nonostante sia banale una dissociazione con ciò che “comunemente” rappresenta la socialità “umana” (es. quando osserva il tentativo di salvataggio in mare, oppure quando si fa trascinare in discoteca dal gruppo di ragazze...). Un senso di alterità connaturato che fa gradatamente affiorare qualcosa, come il precipitato di una reazione chimica riversato sulla soggettività latente, da qua il range acustico che fa da colonna sonora e da perfetta “interferenza” al susseguirsi dello svolgimento visivo, la domanda al campeggiatore straniero che sulla scogliera cerca di salvare altri sconosciuti che affogano... straniero , sconosciuti alieno, tutti semanticamente vicini...
Oltre gli scarni dialoghi, l'interesse e l’epicentro emozionale del film risiede sullo sfondo e piuttosto distante dalla superficie del significante (una su tutte l’immagine finale del motociclista perso con lo sguardo su uno strapiombo nebuloso), in questa prospettiva “aliena”, l'affiorare di un inquietudine non può risolversi pienamente nel confronto o nell'immedesimazione con il prossimo ... se il voyeurismo che caratterizza la prima parte del film, sembra apparire piuttosto casuale e strumentale, guidato dal punto di vista della protagonista (che a sua volta guida il fatal furgoncino), successivamente possiamo percepirlo come un percorso graduale, una lenta presa di coscienza …. il primo contatto fisico del ragazzo deforme con una donna, in fondo coincide e porta al primo vero contatto dell'aliena(ta) con se stessa (il momento in cui si ferma a fissarsi allo specchio nell'oscurità del suo antro, del suo volto appare solo qualche ombra dai contorni scarsamente definiti) … fermarsi e guardare dentro noi stessi x vedere, sentire o ricercare che cosa?
La prima conseguenza è un rigetto che incrina la serialità e il ripetersi dell'azione, una rottura apparentemente improvvisa ma naturale, e proprio nel rapporto con la natura ed il paesaggio che il film cambia passo e scenario … nella seconda parte dalla città – dalla notte suburbana si passa alla campagna, a luoghi densamente spopolati (un lago, una strada di campagna, un bosco), una profondità di campo che si allarga con l’utilizzo di piani sequenza che sostituiscono la visuale soggettiva in movimento della protagonista … gli spostamenti vengono inquadrati a distanza, adesso ad essere spiato dal regista è il girovagare della ragazza, l’anatomia di un paesaggio ( la valle per metà visibile e per metà occlusa dalla nebbia in cui la protagonista si muove silente e da cui esce per ritornare ad un vissuto più consapevole) diventa cifra di un viatico emozionale necessario a supportare questo processo metacognitivo …
L’attenzione è rivolta all’io sia a livello fisico: la protagonista si osserva nuda nitidamente riflessa allo specchio stavolta, ed anche il sesso diventa qualcosa di più che un semplice strumento per il soddisfacimento di un bisogno primario ovvero un esperienza finalizzato alla scoperta di se … sia a livello ultra-corporale ricercando un contatto più profondo con la propria interiorità all’interno di una coltre di nebbia, come nel mezzo di una fitta boscaglia, gli spazi aperti diventano il fulcro stesso dell’intimismo, della metacognizione, in questo ricalca la parabola del ragazzo straniero che aveva incontrato sulla spiaggia nella prima metà del film .
In definitiva non è un road movie, non un film di fantascienza… direi una forma d’arte visiva forse meno subliminale istintiva di una pellicola come “Inland Empire” di David Linch (regista che sicuramente Glazer conosce bene…) ma più intrinsecamente sensoriale – percettiva.
In “Under the Skin” l’apparente scarna narrazione cela sotto il suo strato una sostanza densa, intasata da stimoli sensoriali e visceralmente votata al conflitto tra alterità e identità … in fondo tutti siamo carnefici e vittime, tutti vogliamo essere diversi ma sentirci parte di qualcosa, il “problema” dell’essere “altro” o alieno che dir si voglia (dal latino “alienus” col vario significato di: «appartenente ad altri, altrui; straniero; estraneo) sembra intimamente legato a quello del “non essere”, questo in ultima analisi fa scaturire il divenire, proprio come nell’accezione di hegeliana memoria…
Il finale della pellicola visivamente varrebbe da solo il prezzo del biglietto … Il voto non può che essere elevato con buona pace di chi va al cinema per intrattenersi o per far trascorrere semplicemente del tempo…
“Io è un altro” , “niente è nulla” (o forse tutto) … e placata ogni distrazione, sotto la pelle ritrovare il proprio sangue …
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