Il potenziale infinito dei videogame inizia a dare frutti anche sul piccolo schermo della tv. “Fallout” è uno spasso da godersi tutto d'un fiato. Il merito di Jonathan Nolan e compari è quello di essere riusciti a costruire una vera indagine conoscitiva, dove le avventure (colorate, variegate, sempre in divenire) si intrecciano per bene allo sguardo rivolto al passato, in cerca di spiegazioni. Per alcune scelte di montaggio sembra rifarsi alla gestione del tempo “polverizzato” del fratellone e cavaliere Christopher in “Oppenheimer”.
La forza della sceneggiatura sta nel giustapporre lo scenario far west post-apocalittico del mondo esterno alla distopia claustrofobica e “muta” dei vault. l'imbruttimento dell'uomo imbarbarito si contrappone a quello dell'uomo turbo-capitalista che porta i suoi “valori” alle estreme conseguenze.
Personaggi riusciti, in particolare per la scelta di dare a ciascuno un passato, una ferita aperta, un trauma originario che diventa motore delle sue azioni. Anche il cowboy-teschio apparentemente spietato ha tutto un retroterra emotivo ricco di dettagli, cesellature che dialogano nel tempo, a distanza di duecento anni.
C'è lo splatter e la critica sociale più caustica, c'è il western e la fantascienza, ma soprattutto c'è uno stile sempre un po' ironico che trasforma gli spargimenti di sangue in baruffe slapstick, che trasfigura spesso in chiave grottesca (e quindi ancor più terrificante, a mio modo di vedere) la disumanità a cui è giunto l'uomo nel 2296. Le musiche retrò non giocano una parte marginale, in questo senso.
- Credevo che sarei diventata una schiava sessuale.
- Ma no, che barbarie! Io devo solo asportarle gli organi.
I meccanismi narrativi sono oliatissimi e ci consentono di seguire senza difficoltà le diverse trame in cui si sfrangia la vicenda. I dialoghi non rinunciano mai al ritratto psicologico e sociale, mostrando le diverse (e opposte) aberrazioni a cui è giunto il genere umano: la violenza selvaggia in superficie e la mollezza più prona e cieca nelle profondità dei bunker.
Alcune scene sono memorabili, come quella del ponte. L'educazione “utopica” della ragazza del vault 33 va a collidere con l'istinto di sopravvivenza di “quelli di sopra”. Prevarrà la civiltà o l'istinto? La risposta non è così scontata, perché la distopia è duplice.
Se vogliamo, il difetto strutturale della narrazione sta nel ripetere troppo spesso lo schema che vede i protagonisti mettersi nei guai, salvo poi uscirne sempre miracolosamente illesi o quasi. È un mondo caotico, un parco giochi per uno sceneggiatore che ha nella manica infiniti assi per far succedere sostanzialmente qualsiasi cosa in qualsiasi momento. Questo diverte, perché le peripezie sono gustosissime, ma alla lunga può stuccare.
Senza contare che il magnifico crescendo di tensione rispetto all'indagine sul passato, sul disastro nucleare e sulla creazione dei vault, va a sciogliersi in una rivelazione che ad alcuni potrà sembrare un po' semplicistica, soprattutto a fronte di una messa in scena così particolareggiata.
La serie è stata ovviamente rinnovata per una seconda stagione.
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