Un film (che non ho visto), un chitarrista, un disco. Un disco? Più che altro un qualcosa...

Dovendo essere la colonna portante dell'omonimo film, questa avventura musicale risulta mutilata dall'assenza delle immagini, tutto si fonde in maniera confusa, strana, non rimane in mente nulla di preciso; o forse, rimane in mente tutto, ma proprio tutto, non le canzoni, ma proprio Bodysong nella sua integrità.
Un'opera a mio parere o bellissima o completamente futile. Dipende. Se vi limiterete ad ascoltare i brani contenuti nel cd l'unica fine che quest'ultimo farà sarà il cestino. Altrimenti, se penserete a vivere la vostra vita e ad immaginarvela con questo sottofondo musicale avrete colto l'essenza del disco. Questa è l'unica missione di Greenwood, affiancare ai pensieri la musica.

Stranamente lo strumento principe risulta essere il piano, accompagnato da tantissimi aggeggi elettronici e poca chitarra. Le atmosfere create ricordano vagamente Amnesiac; i suoni e i rumori si ispirano però anche ai dEUS e ai grandi del passato da Chopin a Satie. La sperimentazione raggiunge picchi elevatissimi e la forma canzone scompare ingoiata da un'opera ambiziosa e visionaria. Da vivere.
La musica risulta difficile da ricordare, comprendere, apprezzare in pieno. Però affascina, rapisce, colpisce al cuore.

Ci seguirà ovunque questo disco, dalla mattina al lavoro o a scuola, alla sera in un locale o più semplicemente nel nostro letto. E staremo ancora lì a domandarci: ma Bodysong è un capolavoro o un futile tentativo di sperimentazione fine a se stessa?
Poco importa, questo è un disco destinato a essere vissuto, non ascoltato.

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