"Ok. Allora ecco la mia cinquina definitiva. Numero uno: "Let's Get It On", di Marvin Gaye. Numero due: "This Is The House That Jack Built", Aretha Franklin. Numero tre: "Back In The Usa", di Chuck Berry. Numero quattro: "White Man In The Hammersmith Palace", dei Clash. E, per ultimo, "So Tired Of Being Alone" di Al Green".
Mi si perdoni la citazione dal libro di Nick Hornby, "Alta Fedeltà", ma nient'altro poteva meglio riassumere l'idea che sta alla base di questo disco. Si, perché anche "Jonny Greenwood Is The Controller" nasce con lo stesso spirito. E probabilmente anche il chitarrista dei Radiohead si sarà trovato nella stessa situazione del protagonista del romanzo di Hornby. Quella di pensare, aggiungere, togliere, spostare, definire, all'unico scopo di creare una compilation equilibrata.
Ma andiamo con ordine: in occasione del quarantesimo anno dalla sua nascita, la Trojan, etichetta inglese rinomata per la sua produzione nella musica reggae/dub/rock steady apre i suoi archivi ad una serie di musicisti più e meno affermati, con lo scopo di creare una serie di antologie che al meglio riassumano l'essenza del suo vasto catalogo. Uno di questi musicisti è proprio Jonny Greenwood, che, da grande amante del genere (come testimoniano le appassionate note di copertina scritte dal polistrumentista) coglie al volo l'opportunità: inizia a spulciare tra i nastri e, con pazienza e lavoro certosino, confeziona per noi questa raccolta.
Il risultato, lo diciamo immediatamente, è di alto livello. Greenwood non è uno sprovveduto e lo si capisce già al primo ascolto: in 17 canzoni è riuscito a cogliere il meglio del suono di Kingston, in un perfetto compendio tra classici e rarità più o meno note. Fanno parte del primo gruppo sicuramente la conosciutissima "I'm Still In Love" di Marcia Aitken, qui in un lungo mix da 7 minuti, "Never Be Ungrateful" di Gregory Isaacs, dalla densa atmosfera "roots" e "Let Me Down Easy" (Derrick Harriott), giusto per citare qualche titolo. Aggiungete a queste "Bionic Rats" di Lee Perry (autore che compare più volte nella tracklist e direi che non è una coincidenza) e "This Life Makes Me Wonder" di Delroy Wilson, furbescamente piazzata in fondo al disco, ancora una volta dominata da vivide atmosfere roots, e avrete un quadro quasi completo.
Quasi, però: l'altra faccia del disco è rappresentata da una manciata di tracce di matrice dub dal sapore decisamente più astratto. Anche qui, la selezione risulta azzeccata e testimonia la passione di Greenwood anche per le sonorità più sperimentali del reggae/dub: c'è una chicca come "Flash Gordon Meets Luke Skywalker" (Scientist & Jammy & The Roots Radics) dall'incedere nebuloso e ossessivo; c'è "A Ruffer Version" (Johnny Clarke & The Aggrovators) dalla curiosa anima dissonante e rumorista. In "Black Panta", poi, fanno capolino atmosfere ipnotiche e dilatate create, manco a dirlo, ancora da Lee Perry.
Si potrebbe andare avanti, dato che tutti gli episodi del disco sono di livello, ma mi preme sottolineare una cosa: il fatto che, pur mischiando carte diverse, pur accostando sonorità e stili tra loro differenti, il lavoro di raccolta di Greenwood è stato superlativo, donandoci uno spaccato omogeneo e coerente dell'universo della musica giamaicana.
Concentrando egregiamente 40 anni di storia in 70 minuti di musica, "Jonny Greenwood Is The Controller" non è solo una fredda raccolta. E' un lavoro che trasuda passione e amore per il genere da ogni suo solco e che ci consegna un po' del background musicale di uno dei più interessanti artisti degli ultimi anni. Da avere.
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