Jón Þor Birgisson, Jónsi per gli amici, a 36 anni appena compiuti è come Peter Pan: non vuole crescere. Lo sanno bene i fan dei suoi Sigur Rós, e chi ancora non li conosce (grave lacuna) può digitare su Youtube “Go Do” per ammirarlo travestito da improbabile volatile intento a usare una valigia a mò di batteria: un impercettibile sorriso timido e insicuro, quasi inquieto, nascosto tra i colori più variopinti. Jónsi è uno che indubbiamente ha ancora tanta voglia di “saltare nelle pozzanghere”.

Nel 2010 decide di prendersi una pausa dal progetto principale e rilascia in aprile il suo finora unico album da solista, “Go”. Dimostrando creativa personalità si discosta - non del tutto, però - dall’oneroso nome che si porta dietro, dal post-rock e dalle sonorità più ruvide dei Sigur Rós, attenuando quelle atmosfere dilatate e sognanti che facevano da cornice agli affreschi selvaggi del Nord in “Heima” e accentuando invece quella sensazione di gioia sincera e stupore inesauribilmente infantile che i quattro ci avevano offerto, per citarne una, in “Hoppípolla”.
“Go” è soprattutto elegante pop-rock con un pizzico di elettronica, senza enormi pretese ma fresco, gradevole e coinvolgente. E’ l’album che potrebbero rilasciare i Coldplay se Chris Martin pensasse davvero “Viva la vida“; è “Adore” degli Smashing Pumpkins al rovescio, con la dolcezza di un ragazzino al posto del nichilismo dark di Billy Corgan.

“Go Do“, “Animal Arithmetic”, “Boy Lilikoi” e “Around Us” sono un esempio della miscela esplosiva di frizzante vivacità, voce in falsetto, archi e flauti che permea tutto il lavoro. C’è da immaginarselo, Jónsi, a dirigere un’orchestrina frenetica raccontando il suo mondo con melodie euforiche e quel sorriso introverso.
Lasciarsi del tutto alle spalle il sound dei Sigur non è semplice, e ne si avverte l‘inconfondibile influenza nelle più placide “Tornado” e “Kolniður”, scandite dal pianoforte e toccanti nella loro malinconia appena accennata, nei riverberi elettronici, nei lievi sussurri.

“Go” non è un capolavoro e non è esente da qualche episodio poco convincente, e immagino che probabilmente sarà destinato a rimanere all’ombra del progetto principale.
Ha però un pregio particolare, che ritengo prezioso: una volta ascoltato, non può non lasciare più di un sorriso. Un sorriso spensierato, da bambini. Credo sia questo il messaggio di Jónsi, quando si agita camuffato da pennuto con una valigia in mano: non pensarci sù. Vai.

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