Il nostro tastierista giramondo pubblica il suo secondo album da solista nell'ottobre del 2001.
È stata una carriera grandiosa quella del musicista ormai membro portante dei Dream Theater, costellata da molti successi e da magnifici capolavori realizzati, anche con altri eccelsi musicisti.

Dopo varie collaborazioni in vari side project, partecipazioni a moltissimi cd, supergruppi e soddisfazioni ottenute con le proprie band, Dixie Dregs e Dream Theater, ecco arrivare Rudess al varco della dimensione "musicista solista". In verità già nel 1994 quando pubblicò a inizio carriera il suo primo album "Listen", grazie al quale fu votato come "miglior talento nella 1994 Keyboard Magazine Readers Poll Keyboardist category", Jordan dimostrò le sue immense qualità.
Ma "Feeding The Wheel" è frutto di esperienze vissute con persone che sanno veramente che vuol dire suonare uno strumento e che emozionano ogni qual volta essi producano uno singola, insignificante nota.

L'album contiene proprio questa cosiddetta esperienza, che può risultare negativa o positiva per l'ascoltatore. Partecipano a questo progetto solista Terry Bozzio alla batteria, Billy Sheehan al basso, Steve Morse e il sublime John Petrucci alle chitarre, Mark Wood al violino e Eugene Freisen al violoncello.
Un vero Dream Team insomma, capace di svariare dal progressive rock vecchio stampo al jazz-fusion, senza tralasciare il progressive metal, che però a dire la verità lo si sente in maniera meno decisa ed evidente rispetto di altri lavori simili.
I giri di tastiera sono molto quadrati e incisivi, aiutati da una coesione completa da parte degli altri strumenti. Letto sempre in chiave strumentale, nel disco traspare però il cosiddetto narcisismo da parte degli autori. Difatti è l'aspetto tecnico la parte più curata, coinciso sempre con un grande senso di improvvisazione e una fantasia aliena, ideatrice di melodie ineguagliabili.

Cercando di "dimostrare" la bravura nel saper suonare lo strumento, essi danno meno attenzione al songwriting e cercano di superare "l'insuperabile", provando a far coesistere le varie idee portate da ogni singolo musicista.
Diciamo che non si pongono una metà d'arrivo e danno libero sfogo alla loro creatività in modo non proprio idoneo e compatto. Le canzoni perdono un po' la forma, risultando però sempre stupende e maestose nel loro lungo divagarsi tra melodie e sinfonie eccitanti.

Ora io non cerco assolutamente di sminuire questo grande capolavoro, perché sia chiaro che QUESTO è UN CAPOLAVORO, ma credo sia giusto dire che potrebbe rivelarsi di difficile assimilazione per un orecchio poco abituato a sfuriate strumentali del genere. Ripeto: è un capolavoro tecnicamente e melodicamente parlando, però risulta contorto e un po' complesso.
È consigliabile, prima di entrarne in possesso, un leggero assaggio.

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