L'Aleph è una lettera derivante dall'alfabeto ebraico il cui simbolo deriva a sua volta da quello fenicio, ed è usato in matematica per indicare la cardinalità dei numeri (Georg Cantor), ossia il numero degli insiemi di un insieme finito. L'Aleph, per Borges, è l'inizio, il tutto, la fine; L'Aleph, per i fortunati lettori di queste 200 pagine scarse, è una serie di racconti fantastici improntati sui temi della vita, della morte, del tempo, dell'infinito e del destino, costantemente mescolati in un gioco letterario-filosofico senza eguali per fantasia ed eleganza.

Pubblicato nel 1949, l'opera si snoda in 17 racconti che ritraggono in maniera esauriente le questioni affrontate dallo scrittore argentino, come si evince fin da subito nell'episodio introduttivo, "L'immortale". Contesto storico, personaggi e vicende sono, in questo racconto come nei seguenti, puramente inventati, re-inventati, sicchè l'autore si nutre di personaggi e luoghi talvolta realmente esistiti ricollocandoli a piacere in ciò che diventa l'enigmatico gioco spazio-temporale tipico del maestro argentino. Debitore della letteratura classica e di molti autori moderni, come di consueto ammesso ("Tutti i libri sono copiati", cit.), egli introduce con questo primo passo le tematiche a lui vicine, narrando in prima persona i misteriosi avvenimenti che trasportano il protagonista da Tebe alla città degli Immortali, attraverso l'infuocato cammino del deserto. Una meta tanto inconcepibile come la suddetta città degli Immortali diviene lo spontaneo teatro ove inscenare gli incubi e le visioni dello scrittore, il quale ipotizza un luogo senza tempo e senza storia (o, per meglio dire, concernente tutta la storia nella sua completezza), in cui ci si interroga sull'effetto che provocherebbe una vita senza scadenza. Gli abitanti di tale comunità non sono nessuno e sono tutti gli uomini (ad avvalorare le tesi sull'infinito Borgesiano e sul tempo che inghiottisce ogni cosa) e la narrazione muta in un pretesto per parlare, in maniera filosofica, dell'esistenza umana; l'ultima manciata di parole di questo scritto racchiude in sintesi il pensiero di Borges sulle circostanze e sulle prassi che pilotano la realtà: "Io sono stato Omero; tra breve, sarò nessuno, come Ulisse; tra breve, sarò tutti: sarò morto.". Con "L'immortale" si apre un ciclo di narrazioni perennemente sconfinanti nel fantastico, affrescate con fantasia culturale e stilistica, giacchè l'erudizione, che appare automatica nella parola scritta, viene al contempo accostata ad episodi popolari o a un linguaggio più fruibile, accorgimento che permette di mantenere un livello discorsivo sempre in bilico tra realtà e sogno, tra memoria e mitologia.

Addentrandosi nel mosaico di episodi che ci viene proposto si scopre sempre di più quel "caos ordinato", quell'amministrazione della pagina e della parola peculiare a Borges: "Il morto", secondo frammento della raccolta, tratteggia il destino di Benjamin Otalora, fuorilegge argentino, che sfugge ai suoi nemici quanto al lettore, in un susseguirsi di circostanze che sviano una qualsivoglia certezza sulla reale esistenza (ancora una volta e come in tutto il volume) di personaggi, luoghi e avvenimenti. Il ciclo di racconti prosegue e sconfina in un quello che, a detta dell'autore nell'epilogo, è il resoconto di un sogno denominato "I teologi". Epicentro culturale della raccolta, l'armonioso dialogo con la tradizione classica-ellenica diviene, già dalle prime righe, una sorta di catalogazione di aneddoti, date e illustri personaggi del tempo, sinuosamente posizionati e reinterpretati nell'onirico meandro di Borges. Il proseguo vede susseguirsi, nell'ordine, tre racconti intitolati "Storia del guerriero e della prigioniera", "Biografia di Tedeo Isidoro Cruz" e "Emma Zunz", che potrebbero apparire a un primo approccio come materiale di direzione opposta alla matassa di carattere fantastico e immaginario che pervade gli altri racconti de "L'Aleph".

E ora? Si, fino adesso la recensione è stata dettagliata, ordinata, organizzata in base al susseguirsi dei racconti. Ma è questo il vero modo di accostarsi a Borges, di addentrarsi nel sottobosco interiore le cui porte si spalancano alla prima lettera della prima parola della prima pagina? Se fino adesso avete apprezzato la recensione, questo libro non fa per voi. Borges non fa per voi. Credetemi, non sto usando un banale espediente per dare quel tocco di originalità alla mia pagina (a che pro?), sto solo cercando di farvi visualizzare il bivio a cui giunge la vostra mente una volta letta questa pappardella descrittiva da me virtualmente sboccata. Non fraintendete l'approccio alla fredda, sterile, avida prosa quadrata che mi appartiene qui sopra all'elegante visione matematica spazio-temporale covata dall'immaginazione del Nostro. Borges non è per tutti, e a maggior ragione questo libro. Borges non è probabilmente, certamente, nemmeno per me. Non posso aspirare a tanto. Ma chi può dire di poter acquisire il verbo di questo scrittore cieco semplicemente leggendolo? E' inevitabile pensare a quest'opera come a un diabolico materiale filosofico o a un potente alcaloide ad effetto perpetuo, qualcosa cioè che abbia delle forti ripercussioni sulla nostra coscienza e psiche. Un'entità che, una volta preso in mano il manoscritto, si stanzierà in noi e non ne uscirà più. Avrà risvolti su tutte le scelte che faremo, cambierà la nostra percezione della vita, della luce, dell'Aleph. Non mi voglio spingere oltre, procrastinare arduamente concetti che non possono nemmeno essere spiegati risulta una pratica elegiaca. Già l'aver parlato in questi termini di un libro che forse neanche esiste pare un folle solipsismo.

Questo vi pare più convincente? Questa sterzata con conseguente testacoda è più in linea con le reazioni generatesi al vostro appuntamento con Borges? Allora siete ancora una volta, totalmente, fuori strada. Come me.

E quest'ultima va meglio?

E così via, ciclicamente.

Questo libro non si può capire, nè tantomeno recensire.

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