‘The Duke' del grande singer Jorn Lande vede la luce nel 2006, ed inizio subito col dire che Jorn non ha intrapreso, almeno per quanto riguarda questo disco, la strada solista per varcare le caratteristiche dei Masterplain: alcune melodie di questo disco ricordano molto "Aeronautics", mentre il sound ed i testi perdono il confronto col suddetto album nettamente. Ma il punto fermo è ovviamente la voce spettrale di Jorn, che si sgretola nell'aria come sabbia nel vento e che non farebbe neppure notare la mancanza d'estensione; concludo questa premessa dicendo che Jorn, cosi' come l'insuperabile LaBrie, ha bisogno di varcare gli stilemi del metal per creare qualcosa di veramente unico.
Passando invece all'album, cosa c'è da dire? I compiti per le vacanze sono stati svolti interamente e correttamente: la troppa tecnica manca di candore.
‘We brought the angels down' apre accompagnando bene Jorn con scariche di chitarra, spartendo strofe e melodie fra dure e sentimentali, le seconde riprendono la bellezza di Aeronautics mentre le prime sono rafferme. Il pathos culmina nel cambio melodico di ‘Blacksong' dove troviamo uno schema di botta-risposta, che cita: ‘Hold on, and all that is beautiful dies, hold on, i'm standing here askin you why.....hold on, and evereything powerful fades, hold on, all that is young will age'... Che scritto cosi' svela poco dell'interpretazione magistrale e austera di Lande.
Passando per e tralasciando alcune traccie identiche all'album sopracitato si arriva alla traccia più bella: ‘End of time', su di una melodia lenta e strusciante chissà quante volte udita in borghese, con due intervalli armonici nella misura, e immortalata dalle corde di Lande, terminante con un altro cambio dai testi bellissimi: ‘Tell me what she did, tell me who she was, show me how she loved, here before. Did she run around, with the boys in town, living fast at the end of the line..no time, i'm like a jet, i like the speed....' Un capolavoro. Segue ‘Duke of love' che al di sopra dell'heavy metal classico e ruvido propone testi banali a mio giudizio, in quanto vezzeggiativi.
‘Burning chains' è una ballad acustica, non romantica ma desolata, senza spunti particolari. ‘After the dying' rialza il gradimento col ritornello, fatto insolito. Ma a suggellare il disco c'è la splendida ‘Starfire' dove Lande dimostra di farsi accompagnare egregiamente dalla chitarra, intervallando singhiozzi e sfuriate sui bei testi: ‘I am the footprint in the sand, i am the wind that sweeps tha land, i am the eyeglass of a blinded man...in the heat of desire, i'm a starfire falling down from the sky...i am the footprint in the sand...the sunshine and the rain. I am the hurt i am the pain...burning desire, i'm a starfire'. Chiudendo il disco cosi' come ‘Drained' chiudeva ‘Elements of persuasion' di LaBrie che non centra comunque niente, al di là di questa similitudine che chi ha il disco può comprendere.
In conclusione non si tratta di un passo avanti di Lande rispetto alla sua ex band, di una conferma se vogliamo, ma, sempre a mio giudizio quello che c'era da esprimere era già stato espresso, quì viene però reiterato e sfumato, anche molto bene nei frangenti che ho evidenziato. Io consiglio vivamente uno di questi due dischi per la particolarità nelle melodie più soavi.
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