“A Viagem do Elefante”
di José Saramago, 2008
Sarò alquanto breve et conciso ma mi preme una premessa, questa recensione è frutto della lettura di una critica di Flo, apparsa su WordPress il 12 agosto, nei riguardi dei traduttori e nello specifico di Rita Desti che si occupa (spero senza errori grossolani) anche di questo racconto che ho letto pochi giorni fa sul mio kindle qui in Marocco e di cui non intendevo affatto recensire ma tant'è.
Nel XVI° secolo e più precisamente nel 1551, sotto il regno di Dom João III°, il re portoghese si sbarazzò dell'elefante indiano Salomone, facendolo accompagnare da Lisbona fino a Vienna per terra, mare & monti dal suo “cornac” di nome Subhro (liberamente tradotto dall'indiano: Bianco), per ehm, "donarlo" all'arciduca d'Austria Massimiliano II°.
Non svelerò nulla, nel senso che non farò “spoiler”, ma ci tengo a dire che il buon Subhro, di cui l'arciduca cambierà per comodità il nome in (ahilui) Fritz, è uno dei pochi veri protagonisti di questa storia e ricorda il nostro Bertoldo medievale per arguzia, mi ha fatto sorridere più di una volta nonostante le dure batoste in cui è costretto ad incappare.
Per mantenere la parola sulla brevità, chiudo con questa massima recuperata nel corso della lettura e la dedico @Flo con simpatia, e non conoscendo affatto il portoghese non so neppure se Rita Desti l'abbia tradotta correttamente: “non c'è stoffa su cui non cada macchia”...
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