L’impatto visivo è importante, capace di mettere a nudo la vostra reale voglia di leggere in un baleno: basterà anche solo sfogliare distrattamente il libro e, BAM, una fitta e fine pioggia di parole piena di incisi per frasi quasi senza fondo. Pagine nelle quali mancano le pause sotto forma di ariosi capoversi; nel lessico, poi, nessun alleggerimento o ghirigori stilistico. Saramago. Nessun appiglio per questo j’accuse politico che proseguirà dritto e filato, crudo e puro, intervallato solo da qualche sparuto capitolo, tra l‘altro nemmeno numerato.
Come un rocciatore, che prima di cominciare la scalata si mette la magnesia sulle dita e prende l'appiglio, comincio a leggere ed entro in una giornata piovosa. Ma di mattone, se questa è la fallace idea che vi ho dato, non si tratta affatto. A testimoniarlo il fatto che “Saggio sulla lucidità”, già sul calar della sera è assieme agli altri di questo 2011 che chiacchiera rumorosamente sullo scaffale.
La location è quella indefinita di “Cecità”, ma la struttura dell‘opera è completamente diversa. Se nella lattea disgrazia del romanzo precedente una delle colonne portanti era rappresentata dalla feroce descrizione del decadimento di una società in improvvisa caduta libera e senza via d‘uscita, in “Saggio Sulla Lucidità” le descrizioni sono poste in secondo piano: sbiadite e vaghe le pennellate dell’autore si perdono nell’orizzonte fumoso. I personaggi risultano essere quasi inconsistenti e fatichiamo a dar loro un volto, una fisionomia. E non è dovuto al fatto che manchino i nomi, ma sembra che l’autore se ne fotta altamente dell’inutile e voglia regalarci solo il succo. Amarissimo perché il messaggio politico di questo libro è velenoso; una denuncia, una provocazione, molto acuta ed acre dai connotati quasi esplosivi.
La quasi totalità della popolazione di una capitale occidentale in un piovoso giorno di elezioni si arma del certificato elettorale per far cadere fogli bianchi. Uno dopo l’altro formano progressivamente una pila sconfinata. Un diritto costituzionale, sia ben inteso, e non è mica una sottolineatura di poco conto; forse sbaglio a racchiuderla in un anonimo inciso, ma Saramago mi sta contagiando. Fatto sta che questa singola non azione, di per sé innocua e legittima, moltiplicata per l’80% dei cittadini avente diritto agli occhi del governo si tramuta in un attentato. Una cospirazione subdola e senza precedenti per una bomba ad orologeria, piena di chiodi arrugginiti e ferraglia, posta nel cuore del parlamento e pronta ad esplodere. Ogni azione in tale contesto è lecita per disinnescarla.
Ma questo spunto iniziale, che trovo meno brillante e stupefacente rispetto all’incipit di “Cecità“, altro non è che una scusa per parlare con dirompente forza dei limiti di una democrazia messa impietosamente a nudo. Retorica, falsa e meschina, capace di interpretare qualsiasi elemento anomalo come un pericolo; e non tanto perché potenzialmente letale per la stabilità della popolazione e del paese, ma per l’attaccamento alla sedia a qualunque costo da parte dell’indegna classe politica.
Saramago vi inchioderà descrivendovi, con glaciale distacco, un crescendo spettacolare. Una patetica ed ignobile partita a scacchi giocata dal governo che, privo di qualsiasi ritegno e lucidità, muoverà sia i pezzi bianchi che quelli neri fino al gran finale secco. Preferisco altri libri di questo autore, ma rimane una lettura di altissimo livello: ficcante, stimolante e soprattutto attuale nel messaggio prepotente che lancia.
Non sono troppo felice nel constatare che si può pure ipotizzare, con un basso margine d’errore, che queste pagine da molti ignorate saranno pure alquanto longeve.
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